Il magico solstizio d’inverno celtico
Siamo ormai giunti alla fine di quest’anno. La luce lentamente lascia il posto alle tenebre, raggiungendo il suo culmine il 21 dicembre durante il Solstizio d’Inverno, la notte più lunga dell’anno. Secondo la tradizione celtica, proprio in questa data si celebrava Yule, la festa pagana della luce e della rinascita.
Per gli amanti delle culture antiche e per chi è vicino con lo spirito al mondo pagano, perché non portare un po’ di quella saggezza celtica nel nostro quotidiano? Vediamo insieme in cosa consistevano Yule, i suoi segreti e i suoi riti di cui, in realtà, il nostro stesso Natale cristiano ha ereditato molti aspetti.
La Festa della Luce
Prima di tutto, che cosa significa Yule? Si ipotizza che il termine derivi dalla parola norrena “Hjól”, ossia “Ruota”.
Ciò perché l’evento simboleggiava il punto più basso nella Ruota dell’Anno celtico, e da questo punto si sarebbe poi risaliti. Infatti, Yule faceva parte delle celebrazioni principali dei celti legate al ciclo naturale e alla vita rurale.
Nel neopaganesimo e nella cultura wicca, Yule esiste ancora ed è diventato parte degli otto sabbat che scandiscono l’anno. Questi si dividono in sabbat maggiori e minori.
I quattro sabbat maggiori equivalgono ai passaggi chiave delle attività contadine e sono:
- Samhain: Il Capodanno Celtico, celebrato il 31 ottobre, che ha dato origine al nostro Halloween;
- Imbolc: La festa della luce, celebrata il 1° febbraio;
- Beltane: Primo giorno d’estate, festeggiato il 1° maggio;
- Lughnasadh: La festa del raccolto, onorata il 1° agosto.
Invece, i quattro sabbat minori, che coincidono coi due solstizi e i due equinozi, sono:
- Yule: Solstizio d’inverno (21 dicembre);
- Ostara: Equinozio di Primavera (21 marzo);
- Litha: Solstizio d’Estate (21 giugno);
- Mabon: Equinozio d’Autunno (22-23 settembre).
I festeggiamenti di Yule, detto anche Farlas, avvenivano intorno al 21 o 22 dicembre e si prolungavano per i successivi 12 giorni, terminando tra il 1° e il 2 gennaio.
Come tutti i rituali e feste antiche, Yule era ricco di simbologie e significati, soprattutto in quanto festa che chiudeva il ciclo della Natura e, allo stesso tempo, sua nuova ripartenza.
Al contrario di quanto possiamo pensare, nonostante la notte del Solstizio d’Inverno sia la più lunga dell’Anno, non è l’oscurità la protagonista di questa celebrazione, bensì la luce. Una luminosità che soffriva per l’incombenza delle tenebre.
Al tramonto del Solstizio d’Inverno, il Vecchio Sole moriva, per questa ragione la notte si prolungava così a lungo. La Grande Madre Terra, sposa del Sole, in quell’oscurità partoriva un nuovo Sole Bambino, che avrebbe illuminato e portato la prossima e feconda primavera.
Poiché secondo la tradizione celtica ogni azione umana si riflette sulla Natura, era un dovere per le persone aiutare la luce a ripristinarsi, così che potesse continuare a vivere e prosperare nell’anno avvenire.
I riti di Yule erano tutti atti, dunque, a stimolare questo processo di rinascita della luce. Ad esempio, durante questa notte era tradizione per le donne attendere nell’oscurità con una candela illuminata, consegnata dagli uomini, con cui veniva acceso poi il focolare. Così avevano inizio i festeggiamenti!
Le radici pagane del Natale
A livello di tradizioni e riti, il nostro Natale deve molto a Yule, ciò a partire proprio anche dal suo nome.
Ancora oggi, nei Paesi scandinavi sia Natale che Yule sono chiamati entrambi col termine “Jul”. Questa parola è entrata anche nel vocabolario finnico, tant’è che in Finlandia Natale è detto “Joulu”.
Oltre a Yule, in realtà, in questo periodo sono state svariate le civiltà che festeggiavano la morte, la vita e la rinascita della Natura.
Proprio per questa ragione, nonostante Cristo sia nato tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate, nel IV secolo a.C. Papa Giulio I decise di collocare la nascita di Cristo il 25 dicembre. La stessa parola “Natale” vuol dire infatti “nascita”.
Ad esempio, il giorno del Solstizio d’Inverno anche gli Antichi Romani celebravano la rinascita del Sole Bambino, durante l’antica festività del “Sol Invictus”, detta in latino “Dies Natalis Solis Invicti” (il Giorno di Nascita del Sole Invincibile).
Era un modo per scacciare ed esorcizzare le tenebre incombenti. Non a caso, la parola Solstizio viene dal latino “sol stat“, ovvero “il sole si ferma”, proprio perché durante questa transizione la luce del sole perdura a lungo (in estate) o manca a lungo (in inverno), come se il sole si fermasse davvero.
Nello stesso periodo, dal 17 al 23 dicembre c’erano i Saturnalia, giorni sacri dedicati al dio Saturno. In particolare, il primo giorno era dedicato agli schiavi, che vivevano una giornata di totale libertà nella quale potevano anche mangiare al tavolo dei loro padroni, che addirittura dovevano servirli.
Per di più, oltre a praticare sacrifici, era tipico decorare le proprie dimore con piante sempreverdi, mentre agli alberi venivano appesi ornamenti in stagno. Per le strade, invece, era solito vedere gruppi di uomini nudi cantare ballate dal tono goliardico, qualcosa che ricorda i nostri cori natalizi.
Infine, anche durante i Saturnalia ci si facevano regali, soprattutto cibo, vestiti, strumenti musicali e oggetti legati ai banchetti, come bicchieri e cucchiai.
Altra festa precristiana, legata alla luce e alla rinascita, è quella di Alban Arthuan, la festa della Luce di Artù, celebrata dai druidi per propiziare il risveglio del Sole.
Tra gli altri popoli germanici, il giorno del Solstizio coincideva con le onoranze a Freyr, dio della Fecondità, mentre nell’Antico Egitto era incentrato sui riti a Ra, il dio solare
Nel mondo greco il 25 dicembre era dedicato alla nascita di Dioniso, dio del vino e dell’ebrezza. Spesso era anche pregato durante i riti dedicati alla ciclicità vegetale, poiché era legato alla vigna, pianta molto importante nella società greca. Nello stesso periodo, i Sassoni avevano il Modranect, la Notte della Madre, festa sempre incentrata sulla rinascita solare.
Molte di queste tradizioni si sono trasferite nella cultura Wicca e neopagana. Il Solstizio è dedicato alla morte del Re Agrifoglio (Holly King), simbolo del Vecchio Sole e dell’Anno passato, ucciso dal Re Quercia (Oak King), che incarna l’Anno Nuovo e il Sole Nascente.
I due sovrani sono in eterno conflitto, dove le loro vittorie alterne sono immagine del ciclo della Natura. Il 21 dicembre viene quindi bruciato l’agrifoglio, simbolo di oscurità, perché la luce risplenda, mentre il 21 giugno viene sacrificata al fuoco la quercia, per permettere alla Natura di iniziare il suo riposo.
Nonostante i secoli, sono chiari i legami col nostro Natale, che ancora evoca gli elementi della rinascita, la luce e i doni propiziatori. Se ci pensiamo, anche l’ebraico Hanukkah è una festa rivolta al rinnovamento e alla luce, con le sue menorah accese, le tipiche lampade ad olio a sette braccia. Infatti, Hanukkah è chiamato anche “Festa delle Luci“.
Scopriamo insieme alcune tradizioni tipiche di Yule che il nostro Natale ha ereditato. E perché poi non portare nelle nostre case un po’ d’aria celtica, rinnovando i riti di questa festa pagana?
Il Ceppo di Yule
Come abbiamo detto, Yule è dedicato al rinnovamento della luce. Questo simbolismo era massimizzato in una cerimonia dove la famiglia si riuniva intorno al camino e accendeva un grosso ceppo di quercia o di frassino per scacciare gli spiriti malvagi, celati nelle tenebre.
Inoltre, il pezzo di legno veniva adornato con rametti di diverse piante, strette intorno al ciocco da un nastro rosso. Ciascuna aveva un significato diverso, legato a proprietà magiche e spirituali:
- Agrifoglio per simboleggiare l’anno passato;
- Betulla per la fertilità e celebrare l’anno nuovo;
- Edera perché era la pianta tipica del Solstizio;
- Tasso per indicare la morte del vecchio anno.
Il ceppo di Yule era accesso col tizzone del ceppo dell’anno precedente, accuratamente conservato. Doveva bruciare tutta la notte per poi essere spento mediante un rituale specifico. Lo si seppelliva nella cenere per i restanti 12 giorni di Yule. Infine, il restante tizzone veniva conservato fino al prossimo Solstizio.
La tradizione del ceppo non è affatto passata, ma è ancora viva e vegeta. In Emilia e in Toscana, nelle case contadine era ancora usanza accenderlo, come simbolo dell’Albero della Vita nell’Eden.
Anche in Inghilterra, per Natale, viene acceso un grosso pezzo di quercia, adorno di aghi di pino e pigne, che è stato conservato appositamente durante l’anno a protezione della casa.
Ti ha affascinato questo rito? Beh, allora perché non realizzarlo tu stesso? Prendi un bel tronco e decoralo con vischio, agrifoglio, cannella, edera e frutta secca, come arance e mele. Finché non è ora di bruciarlo, puoi usarlo come centrotavola natalizio, aggiungendo delle candele accese.
Infine, perché non preparare anche un buonissimo Tronchetto di Natale? D’altronde, Yule merita di essere celebrato in grande stile!
L’Albero di Yule
Come per il ceppo, anche il nostro albero di Natale deriva da un rito celtico che la cristianità ha assimilato.
Per i 12 giorni di Yule veniva scelto e decorato un albero sempreverde, simbolo della vita che non soccombe all’oscurità e all’inverno. Tenerlo in casa garantiva prosperità alla famiglia per l’anno avvenire. Per adornarlo si usavano frutta secca, legata alla rinascita, e candele, sempre associate al ritorno alla luce. Erano una sorta di offerte in favore di Madre Natura.
Per esempio, in Scandinavia era tipico fare sacrifici agli alberi, versando birra e lasciando del pane ai loro piedi.
Col tempo, l’abete divenne l’albero ideale per Yule, poiché non solo pianta sempreverde, ma associata alle divinità maschili della fertilità. Alla fine dei 12 giorni, l’albero veniva infine bruciato con un falò.
In Italia, l’albero di Natale si diffuse durante l’800, quando la regina Margherita di Savoia, moglie di re Umberto I, ne volle uno nel salone del Quirinale, dimora allora della famiglia reale. La sua popolarità fu tale che pian piano anche i popolani decisero di imitare la propria sovrana.
Il Vischio
Il vischio era considerato una pianta sacra per i Celti e dotato di poteri magici poiché cresceva, senza l’appiglio di radici, sui rami degli alberi. In particolare, delle querce.
In quanto pianta sempreverde, era simbolo della vita eterna. Infatti, durante Yule solo il Sommo Sacerdote a capo dei druidi poteva raccoglierla per mezzo di un falcetto d’oro.
Vestiti di bianco, i druidi avvolgevano quanto raccolto nel lino e lo posavano in un catino d’oro, pieno d’acqua. A seguito di un rito, quest’acqua diventava quindi una sorta di panacea, capace di guarire tutti i mali, poiché aveva assorbito i poteri del vischio.
Inoltre, era considerata una pianta divina, caduta dal cielo per mezzo di una folgore, di cui era figlia. Perciò, era legata alla fertilità, alla forza e all’immortalità. Prima di andare in guerra, persino i guerrieri ne portavano un ramoscello con sé.
Sebbene il vischio nella cristianità abbia perso la sua forza simbolica, è rimasta una pianta legata al Natale e all’inverno. In particolare, è tradizione per noi il bacio sotto il vischio come gesto scaramantico di buona fortuna per rinsaldare le relazioni.
La capretta di Yule
Andiamo ora in Scandinavia, in cui è ancora viva una simpatica tradizione.
Detta anche “capra di Natale” o “capretta di Thor”, si tratta di una capretta di paglia che funge da decorazione natalizia. Questo animale era sacro a Thor, il dio del tuono. Anzi, il suo carro era addirittura trainato da due enormi capre volanti: Tanngnjóstr e Tanngrisnir.
Durante le antiche celebrazioni di Yule venivano realizzate quindi delle caprette fatte di paglia e vimini, decorate poi con fiocchi rossi. La paglia scelta, solitamente, era quella dell’ultimo raccolto, che si diceva avesse poteri magici.
In Finlandia, Norvegia e Svezia si possono ancora vedere queste decorazioni abbellire le case. Tuttavia, spesso, non vengono tolte passato il Natale, ma alcune caprette vengono lasciate tutto l’anno come segno di buon auspicio.
Il significato spirituale del Solstizio d’Inverno
Sebbene il tempo sia passato, è chiaro che Yule ancora sia nascosto nelle nostre tradizioni natalizie.
Tuttavia, il Solstizio d’Inverno e il Natale non devono essere momenti fatti solo di atti materiali, ma soprattutto dedicati alla spiritualità e all’introspezione. Come festeggiare Yule quindi?
Il primo atto è fermarti. Come la Natura riposa, anche tu meriti di ristorarti fisicamente e mentalmente. In queste vacanze natalizie, ritagliati una pausa dal tuo frenetico tram tram per riflettere.
Puoi meditare, fare yoga, dedicarti ad esercizi di rilassamento oppure leggere un buon libro. Ritrova te stesso e il tuo equilibrio.
D’altronde, come ci insegna Yule, nonostante l’oscurità regni, in ognuno di noi può accendersi una magica luce.
Autore: Anna Silvia Armenise
Anna Silvia Armenise (1991) è scrittrice, saggista e sceneggiatrice. Da sempre innamorata della letteratura e dei libri, è riuscita a trasformare questo suo amore in mestiere, portandola a lavorare in ambito editoriale. Adora le culture antiche e l’esoterismo. Appassionata di natura e… continua sulla pagina dedicata a Anna Silvia Armenise
Fonte: ilgiardinodeilibri