Vaccino HPV: la versione di Jefferson 24/09/2018
La critiche alla revisione Cochrane sul vaccino HPV ha innescato un incendio nel mondo Cochrane che covava da tempo. Con tutta probabilità il procedimento di espulsione del suo cofondatore Peter Gøtzsche è dipeso anche da questa ultimo scontro.
Un evento traumatico e malaccorto – la proposta di espulsione – tanto da aver ottenuto il risultato di far dimettere mezzo direttivo della storica associazione votata alla Evidence Based Medicine. (qui e qui gli articoli precedenti su Scienza in Rete).
Revisione vaccini HPV
Ricordiamo i fatti
Lo scorso maggio, dopo un lavoro durato anni, un gruppo Cochrane ha pubblicato una revisione sistematica sui vaccini HPV sempre più proposti alle giovani donne per prevenire le conseguenze potenzialmente disastrose dell’infezione da papilloma virus umano: fra i molti ceppi virali noti, un buon numero può portare a sviluppare il cancro della cervice uterina, ma anche alla vulva, alla vagina, all’ano, alla bocca e alla faringe, al pene.
Si stima che ogni anno l’HPV sia la causa del 5% di nuovi tumori nel mondo, rendendolo pericoloso quanto il tabacco.
Per questo motivo, quando nel 2006 l’FDA statunitense ha approvato la messa in commercio del primo vaccino contro l’HPV si è subito pensato di proporre il vaccino alle ragazze a partire dalla preadolescenza per iniziare una immunizzazione massiva contro un cancro che porta via ancora troppe vite.
Al primo vaccino 4-valente (Gardasil) è seguito un anno dopo il 2-valente (Cervarix), a cui è presto seguito il 9-valente (Gardasil 9).
La revisione della Cochrane uscita a maggio porta buone notizie: i vaccini anti HPV sono efficaci almeno per le lesioni precancerose e sostanzialmente sicuri.
La contesa
La doccia fredda arriva a luglio di quest’anno, quando altri autori Cochrane, capitanati dallo spigoloso Peter Gøtzschepubblica su BMJ-EBM una stroncatura della revisione, osservando come i revisori abbiano sottoriportato e sottovalutato gli eventi avversi legati ai vaccini e abbiano mancato di considerare meno della metà degli studi eleggibili e della popolazione di donne coinvolte.
Rispetto ai 26 trial randomizzati considerati nella revisione, gli studi primari con un grado simile di accuratezza sarebbero stati in realtà 46.
Fra le altre critiche rivolte allo studio va ricordata anche la scelta da parte dei revisori di utilizzare esiti cosiddetti surrogati e compositi (le lesioni precancerose del collo dell’utero di diverso grado ma non i tumori, che peraltro difficilmente si possono manifestare nei tempi dei trial).
Gli autori della revisione hanno inoltre definito placebo (nei bracci di controllo dei trial) interventi non inerti come la somministrazione di coadiuvanti normalmente usati in alcuni vaccini o il vaccino per l’epatite.
In questo modo il confronto fra i due gruppi nei trial avrebbe reso difficile l’identificazione di possibili differenze di eventi avversi fra il gruppo trattato e quello di controllo.
Infine alcuni autori della revisione avrebbero ricevuto finanziamenti dall’industria configurando conflitti di interesse.
Alle critiche è seguita la replica da parte dell’Editor in Chief della Cochrane, che ha sostanzialmente negato gli addebiti: gli studi non considerati sarebbero in realtà poche unità e comunque non influenti sulle conclusioni; i confronti con placebo non erano disponibili; i conflitti d’interesse sarebbero in realtà immaginari, e così via.
Immancabile la controreplica da parte di Gøtzsche, Jefferson e Jørgensen, che ribadiscono la validità delle critiche entrando ancora di più nei dettagli: una delizia per gli specialisti, una croce per i non addetti ai lavori.
Visioni contrapposte
Arrivati a questo punto, vale la pena cogliere la lezione che in un commento ne trae Trisha Greenhalgh quando osserva che se due gruppi che seguono la metodologia Cochrane possono arrivare a conclusioni opposte ciò significa che ci troviamo di fronte a un dissidio che non è soltanto tecnico ma anche di tipo epistemologico, o addirittura di valori.
Così sembrano pensarla anche Tom Jefferson e Lars Jørgensen, che a revisione non ancora pubblicata, a marzo 2018, avevano scritto un editoriale su BMJ-EBM – “Redefining ‘E’ in EBM” (in italiano scaricabile qui), dove la ‘E’ andrebbe intesa come Etica, oltre che Evidence.
I due autori ne fanno in sostanza una questione di paradigma, per usare un termine caro al filosofo della scienza Thomas Kuhn.
Se da un lato le revisioni Cochrane si sono il più delle volte accontentate di esaminare gli studi pubblicati sulle riviste, ora sarebbe necessario fare un salto di qualità prendendo in considerazione l’intera mole della documentazione regolatori che accompagna l’approvazione di un farmaco, ben sapendo che questo comporta lo sforzo di leggere non 8 ma 8.000 pagine.
Tratto dal canale PBellavite
Fonte: scienzainrete