Covid, sprecopoli in Emilia: si indaga la sanità di Bonaccini, sequestrati tamponi
La sprecopoli dell’Emilia Romagna sotto la lente degli inquirenti.
La Procura di Parma ha aperto un fascicolo penale e sta indagando sull’attività operativa in piena emergenza Covid del secondo ospedale della regione governata da Stefano Bonaccini.
I carabinieri del Nas, nelle scorse settimane, hanno effettuato una serie di sopralluoghi all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, nel corso dei quali sono stati sequestrati tamponi e analisi di laboratorio eseguiti fin dal febbraio 2020, ovvero fin dalla prima fase della pandemia.
L’inchiesta ha preso il via da un esposto pervenuto dallo stesso nosocomio, relativo al Reparto di Virologia.
Al quale si sono aggiunte altre denunce successive, accorpate ora in un’unica inchiesta.
Al centro della vicenda c’è appunto l’ospedale Maggiore di Parma, diretto da Massimo Fabi, un uomo del presidente, dal 2015 direttore generale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria.
Per il grande impegno nella lotta alla pandemia, Bonaccini e l’allora vice Elly Schlein, l’8 giugno 2022 avevano riconfermato Fabi alla guida dell’Aou parmense.
Ora, però, sulla sua gestione della pandemia si sono accesi i riflettori investigativi, per accertare eventuali criticità nella scelta del dirigente di estromettere alcuni laboratori di eccellenza della dell’Aou, tra cui quello di Microbiologia e Virologia, dalla rete dei centri per l’analisi dei test molecolari.
Non solo. Fabi avrebbe preferito creare dal nulla una squadra ad hoc all’Istituto di Igiene dell’università.
Una scelta inspiegabile, nel momento più tragico del nostro Paese, quando la parola d’ordine era fare in fretta per salvare vite.
Tanto più che la decisione del direttore generale avrebbe comportato spese presumibilmente inutili, per diversi milioni di euro, che hanno pesato sui conti del Servizio sanitario nazionale.
A marzo 2020, mentre tutta Italia teneva il fiato sospeso di fronte ai numeri drammatici dei morti e la rete sanitaria ingaggiava una corsa contro il tempo alla ricerca di kit monouso e reagenti, Fabi aveva a disposizione un polo che già sfornava reperti, «pronto all’uso» e dotato di tutti i macchinari.
Eppure aveva deciso di allestire da zero un laboratorio per la diagnostica del Covid, anziché rivolgersi a quello già operativo.
L’aspetto più rilevante, che avrebbe dato il via all’inchiesta della magistratura parmense, sarebbe proprio la scelta di affidare i test al laboratorio di Igiene, che non era attrezzato per quelle analisi microbiologiche.
Non esisteva una squadra di virologi, tanto che il rettore dell’Università, Paolo Andrei, era stato costretto a cercare, con una lettera del 19 marzo 2020, medici disponibili a formare il nuovo team.
E non aveva neppure la strumentazione per effettuare i tamponi, né i macchinari né i dpi.
I carabinieri del Nas ora stanno analizzando i reperti medici sequestrati, mentre i pm valutano eventuali sprechi.
Come risulta dalla “Rendicontazione spese effettuate Covid-19 – Fondo per le emergenze nazionali – periodi 1 marzo – 6 aprile 2020 e 7-13 aprile 2020”, la Regione guidata da Bonaccini ha sborsato oltre 530mila euro alla settimana per attrezzare il laboratorio voluto da Fabi, soltanto per reagenti e forniture di consumabili e monouso.
Una cifra spropositata, se si pensa che, con quel trend, per il solo test Covid la sanità avrebbe speso tra i 4 e i 5 milioni di euro tra kit di reagenti e provette.
Senza contare i costi affrontati dalla Regione a traino Pd per dotare l’Igiene dei macchinari che non aveva.
Per la “Cappa Glove box di classe 3” sono stati spesi 11.736 euro, mentre per una “biactiva 180 plus” sono stati sborsati 10.980 euro.
Diverse le persone informate dei fatti, già state ascoltate dagli inquirenti.
Tra queste il dottor Vittorio Sambri, nominato a marzo 2020 coordinatore della rete regionale che esegue diagnosi di laboratorio Covid-19.
Convocato dal Nas di Parma il 14 luglio 2021, Sambri ha messo agli atti:
«Il commissario straordinario Massimo Fabi non ha segnalato il Laboratorio di Microbiologia e di Virologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma nonostante tale laboratorio aveva la capacità tecnologica per processare i campioni Covid-19. Ricordo che nel mese di aprile 2020 ho chiesto al dottor Massimo Fabi il motivo per il quale non aveva segnalato il laboratorio dell’azienda ospedaliera, e la risposta dell’interessato è stata quella che vi erano dei problemi in tale laboratorio, tali da non permettere la sua inclusione nella rete regionale».
È così che Fabi ha pagato a caro prezzo, e con i soldi pubblici, la scelta di estromettere un laboratorio già operativo per reclutarne uno non attrezzato.
Fonte: iltempo
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