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In tendenza estremamente preoccupante sta prendendo piede nel Regno Unito negli ultimi anni: la repressione della libertà di parola e di espressione. Una tendenza che peraltro pervade sempre più l’Occidente in generale, con punte estreme nell’Unione Europea, tuttavia il Regno Unito sta sorpassando ogni “concorrente” in termini di repressione della libertà di parola tanto che le nuove disposizioni del Governo britannico stanno toccando estremi non dissimili da quelli raggiunti dai Paesi che gli stessi britannici definisco repressivi o totalitari.

Questa forma di repressione del dissenso prende due forme: una di tipo culturale e l’altra di tipo legislativo.


La prima, quella culturale, è in atto già da molti anni, e si esplicita nella mentalità del “politically correct” e nella mentalità “woke”. Nei Paesi anglosassoni, molto più che in Italia, ha pervaso da almeno due decenni ogni aspetto della comunicazione, sia a livello pubblico che privato, tanto che oramai le persone stesse procedono ad una auto-censura del linguaggio su qualsiasi argomento anche solo vagamente considerato sensibile. Parliamo di questioni razziali, culturali, di orientamento sessuale, ma anche di salute (vedi Covid e vaccini) o politiche.


Esprimersi in maniera considerata non appropriata in pubblico o sul luogo di lavoro può portare a conseguenze molto più gravi che la semplice riprovazione; si può facilmente arrivare alla perdita del lavoro o alla perdita di status sociale nella comunità in cui si vive. E non parliamo di espressioni come neg*o o fro**o, ma semplici allusioni ad una determinata questione “sensibile” possono portare alla riprovazione pubblica o alla punizione (sul luogo di lavoro, tra l’altro, questo offre ampi spazi alle vendette personali). Tant’è che se digitate in inglese frasi tipo “political correctness in the workplace” vi si aprirà un mondo di articoli sul tema e di guide sul come districarsi col linguaggio nel mondo del lavoro.
Non contiamo poi, in termini di repressione culturale, di ciò che avviene nei media dove la “diversità” in ambito razziale, culturale o sessuale è un imperativo assoluto. Questa tendenza è chiaramente percepibile anche nostro Paese, ma in Gran Bretagna raggiunge livelli che superano il ridicolo, tanto che vengono create serie televisive dove personaggi storici britannici vengono regolarmente impersonati da attori di colore, e addirittura nascono polemiche se nel cast di un film non c’è almeno un attore che esprima la c.d. Diversity.

Questa pervasività della cultura woke e del politically correct, su cui si potrebbero scrivere interi trattati di sociologia, è oramai ben nota ai lettori di Orazero; tuttavia essa è stata prodromica all’affermarsi di una forma di repressione molto più esplicita e violenta che prevede multe ed incarcerazione per chi esprime o accenna o rilancia qualsiasi pensiero contrario all’ortodossia ufficiale su qualsivoglia tema “sensibile”. Ovviamente il catalogo dei temi c.d. sensibili si allarga sempre più tanto che tra non molto raggiungerà il livello orwelliano di 1984. E questa affermazione non è assolutamente esagerata.

All’inizio del mese di agosto, in seguito ad un efferato e insensato omicidio di tre bambine a Southport nel nord dell’Inghilterra perpetrato da un immigrato ruandese in tutta la Grann Bretagna sono scoppiate violente manifestazioni di protesta contro l’immigrazione da parte di quelli che i media britannici definiscono “estremisti di destra”. Queste manifestazioni avvenute in tutto il Paese hanno immediatamente scatenato delle contro-manifestazioni da parte di nutriti gruppi di immigrati, perlopiù islamici. Queste manifestazioni e contro-manifestazioni hanno letteralmente messo a ferro e fuoco la Gran Bretagna per diversi giorni, tanto che il neo-eletto Governo di Keir Starmer ha indetto una riunione urgente del gabinetto di sicurezza ed è apparso su tutti i media dichiarando che le le rivolte saranno duramente represse e che “il teppismo di estrema destra” non verrà tollerato e che coloro che vi prendono parte “lo rimpiangeranno amaramente”.

Inoltre Starmer ha annunciato che intere sezioni della polizia verranno dedicate alla caccia di contenuti su internet che sono considerati pericolosi o che possono incitare o sostenere le rivolte. Tanto che, non solo scrivere, anche solo rilanciare contenuti ritenuti sovversivi verrà considerato un crimine.

Agli annunci sono seguiti i fatti: Più di 1000 arresti e 400 rinvii a giudizio (tra cui anche un dodicenne e numerosi minorenni) sono stati effettuati nei confronti di chi ha partecipato ai disordini, ma la polizia ha perseguito anche chi ha postato su internet “disinformazione” o contenuti ritenuti dannosi.
Ma il concetto di “contenuti dannosi” è quanto mai vago, il problema è che le autorità britanniche hanno esteso questo concetto a tal punto che qualsiasi contenuto che accennasse ai disordini o che non fosse di condanna assoluta potesse essere considerato un crimine.
Ecco qualche esempio che da un’idea del livello di repressione dei contenuti:

  • Wayne O’Rourke è stato arrestato per aver postato dei tweet con “anti-establishment rethoric”, ovvero per aver contestato il Governo e per avere sostenuto le ragioni della rivolta.
  • Bernadette Spoffert, arrestata per aver diffuso “disinformazione” su internet. Il tweet incriminato affermava che l’attentatore di Southport era forse un rifugiato, ma aggiungendo “se fosse vero succederà un macello”.
  • David Sprink, arrestato per aver urlato “chi c**** è Allah” e per aver detto ai poliziotti che sono dei c****** e che non sono più inglesi. 18 mesi di carcere.
  • Lee Joseph Dunn arrestato per avere postato meme offensivi su Facebook. 4 settimane di arresto.

Il post consisteva in un immagine di alcuni pakistani con la scritta “in arrivo nella vostra città”.

Addirittura anche solo osservare senza partecipare alle proteste potrebbe essere considerato reato. No, non è una barzelletta.



E’ ben comprensibile che un qualsiasi governo davanti ad una tale mole di proteste così violente si dimostri duro e risoluto, meno comprensibile è come il Governo ed i media si scaglino unicamente contro le manifestazioni “di estrema destra”, che in realtà sono costituiti in buona parte da cittadini esasperati, mentre non viene dato alcun rilievo alle manifestazioni altrettanto violente da parte di gruppi ben organizzati di immigrati musulmani.
La lista degli arrestati pubblicata su internet con tanto di nomi foto e professione contiene solo nomi di britannici bianchi, non un arresto di immigrati o di cittadini britannici di altra etnia.

Anche per quanto riguarda le dichiarazioni e i post su internet le affermazioni inesatte o violente che sono contro le manifestazioni “di destra” o che sono a favore dell’immigrazione vengono totalmente ignorate.
Giusto per fare un paio di esempi, il Ministro dell’Interno Jess Phillips in un tweet ha espresso sostegno alle contro-manifestazioni di pakistaini mascherati che hanno anche attaccato alcuni giornalisti che documentavano gli scontri. Se l’ha cavata con un paio di scuse pubbliche.
Un attivista di estrema sinistra ad un raduno ha urlato al megafono che era il momento di “tagliare la gola a quelli di destra”, affermazione peraltro documentata anche in video. Conseguenze? Nessuna.


La repressione dei contenuti on-line nel Regno Unito non è iniziata con gli scontri recenti, ma già diversi anni la pubblicazione di contenuti ritenuti dannosi o razzisti o di disinformazione viene capillarmente punita.


Lo stesso Times in un articolo del 2017 ci informa che in media 9 persone al giorno vengono fermate nel Regno Unito per avere pubblicato contenuti ritenuti “illeciti”, ovvero si tratta di 3285 persone all’anno. E non parliamo necessariamente di chissà quale pericolosità.
Si può venire arrestati e condannati per aver pubblicato una canzone rap (di un cantante di colore) che conteneva la parola “n**ro”. Non ci sono al momento dati per il 2024 ma è facile immaginare che il numero di fermati sia diventata sensibilmente superiore.


E’ notizia di questi giorni pubblicata dal quotidiano Sunday Telegraph, che l’attuale Ministro degli Interni Yvette Cooper intende rivedere le strategie del contrasto alla “misoginia on-line” tanto che la misoginia estrema sarà trattata come terrorismo per la prima volta nei piani del governo per combattere la radicalizzazione dei giovani uomini online.
“Il Governo intende trattare la violenza contro donne e ragazze allo stesso modo dell’estremismo islamista e di estrema destra” cita il quotidiano.
Tra le misure proposte gli insegnanti saranno legalmente tenuti a indirizzare gli alunni sospettati di misoginia estrema a Prevent, il programma antiterrorismo del governo.
La mossa arriva dopo gli avvertimenti secondo cui influencer misogini stanno radicalizzando adolescenti online. Cooper ha affermato: “Per troppo tempo, i governi non sono riusciti ad affrontare l’aumento dell’estremismo, sia online che nelle nostre strade, e abbiamo visto crescere il numero di giovani radicalizzati online. L’incitamento all’odio di ogni tipo frattura e logora il tessuto stesso delle nostre comunità e della nostra democrazia”.
Insegnanti, operatori sanitari e personale delle autorità locali avranno l’obbligo legale di segnalare al programma Prevent se ritengono che qualcuno sia “suscettibile di radicalizzazione”.
Chiunque venga segnalato al programma Prevent viene quindi valutato dall’autorità locale e dalla polizia per vedere se deve essere “deradicalizzato”.

Ora, capite bene che provvedimenti di questo tenore, che verranno discussi in Parlamento ad ottobre, rassomigliano sempre più a quelli dei totalitarismi che già abbiamo conosciuto nella storia, con tanto di delazione obbligatoria da parte dei cittadini e dei dipendenti pubblici e i corsi di rieducazione in stile Lao Gai cinese. Inoltre, se approvate, queste misure aprono la porta ad una estensione di questo tipo di leggi ad altri settori del discorso pubblico, e non è difficile immaginare che questi porteranno ad un dilagare di delazioni e di isteria collettivo accompagnati ad una totale repressione della libertà di parola.

E ironico che proprio la Gran Bretagna, un tempo uno dei bastioni del Free Speech, si stia trasformando sempre più in una versione moderna della DDR. George Orwell, che era appunto Inglese, se nascesse oggi nel Regno Unito dovrebbe forse pubblicare il proprio romanzo 1984 in clandestinità all’estero.

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