Come le multinazionali hanno imposto l’estinzione del pomodoro San Marzano
“Per fare l’albero ci vuole il seme”, recitava una filastrocca delle scuole elementari.
Peccato che questo mondo bucolico e incantato sia stato stravolto e monopolizzato dalle cosiddette multinazionali dei semi brevettati e omologati, ovvero le 4 grandi aziende al mondo che hanno attuato negli ultimi sessant’anni un vero e proprio scippo del patrimonio agricolo di molti territori del mondo, Italia inclusa, e oggi detengono più del 70% del mercato globale delle sementi commerciali: Monsanto-Bayer, Dupont, Singenta e Kraft-Heinz.
Le prime tre dell’elenco producono anche i pesticidi, da usare poi nei campi dove vengono piantati i loro semi, che tutti i consorzi agrari al mondo acquistano ogni anno e rivendono agli agricoltori.
Pacchetto completo insomma per un fatturato da capogiro.
La Kraft-Heinz è l’unica delle 4 a limitare il proprio business, comunque miliardario, alla produzione e commercio dei semi ibridi.
Ma comincerò il mio racconto proprio da questa multinazionale americana leader del settore nella produzione di pomodoro, salse e non solo (detiene infatti anche marchi come Plasmon, Philadelfia e altri).
Il pomo d’oro: c’era una volta il San Marzano
In poche generazioni in Campania, in Italia e nel mondo abbiamo perso la tradizione e la memoria del sapore del pomodoro campano: il San Marzano.
Era considerato il principe dei pomodori pelati da conserva, non solo in Italia.
Un patrimonio italiano conosciuto e apprezzato nel mondo, che dava lavoro a migliaia di persone, soprattutto donne del sud Italia.
Il San Marzano
quello originale, aveva una buccia sottile e soltanto le mani potevano eliminarla mantenendo integro tutto il frutto.
Era un lavoro sicuramente duro e di precisione quello delle donne che pelavano a mano quei pomodori, perché dovevano togliere le bucce quando erano ancora bollenti.
Ma era un lavoro che il piemontese Francesco Cirio garantì a molte donne campane agli inizi del Novecento, aprendo due stabilimenti per quelle conserve che facevano impazzire tutto il mondo.
Nel giro di 30 anni gli impianti al Sud diventarono otto, gli addetti più di diecimila e l’azienda riuscì a ripopolare vaste zone abbandonate garantendo lavoro sia agli agricoltori che alle donne.
Qualche decennio dopo si sono ritrovate da un giorno all’altro licenziate o a raccogliere foglie di tabacco, un impiego ancor più massacrante.
Questo riferisce la giornalista Sabrina Giannini nel suo libro-inchiesta “La rivoluzione nel piatto”.
Cosa era successo? Come mai alcuni agricoltori del sud Italia sono passati a coltivare tabacco, una pianta che causa il cancro, abbandonando i campi di pomodori?
Semplice: un bel giorno a Bruxelles i politici hanno deciso di non destinare più i contributi agricoli alla produzione del pomodoro italiano, bensì di sostenere il tabacco, favorendo così gli affari della Philip Morris, azienda leader di sigarette, e della Heinz, che ha sostituito (o meglio scippato) i semi del pomodoro San Marzano ibridandoli con altri semi e poi brevettandoli.
La Campania è ad oggi la regione italiana con la maggior produzione di tabacco, i poli produttivi di rilievo sono Caserta e Benevento, dove si realizza circa il 90% della produzione di tabacco regionale, proprio in virtù di un accordo dello Stato italiano con la Philip Morris risalente ai primi anni 2000, e che oggi gode addirittura del supporto di organizzazioni fintamente a tutela degli interessi di agricoltori e consumatori come la Coldiretti, il cui vide-presidente nazionale è anche presidente dell’Organizzazione Nazionale Tabacco Italia.
Un accordo che l’Italia ha fatto – come al solito – perché la UE lo richiedeva, dopo la decisione di devolvere fondi europei a chi coltivava tabacco piuttosto che pomodori di qualità tradizionali come il San Marzano.
Da allora i pomodori si coltivano ancora, ma con i semi brevettati dalle multinazionali suddette. E i fondi UE vanno a chi coltiva con questi semi.
A partire dalla diffusione dei semi di varietà ibride il mondo dell’agricoltura è sostanzialmente cambiato lasciando ben poco spazio alla sovranità degli agricoltori nella scelta delle varietà da coltivare e nella conservazione dei semi.
Il furto dell’eredità contadina viene legalizzato nel 2002 con la Direttiva UE numero 55.
I ministri europei si riunirono per rendere illegale la semina libera, stilando l’unico catalogo ufficiale per entrare nel sistema commerciale e produttivo: per ogni ortaggio, frutto, cereale, definiscono migliaia di semi commerciabili mettendo fuori legge tutti gli altri.
La quasi totalità dei semi legale inizia con la sigla F1, che sta a significare semi di prima generazione ottenuti tramite processo di ibridazione genetica. In quali laboratori sono stati ibridati questi semi? In quelli delle multinazionali del seme.
È banale sottolineare che questa Direttiva UE sopprime due valori fondamentali: la libertà e la concorrenza.
Due valori di cui spesso le istituzioni europee si riempiono la bocca ma che di fatto in questo settore vengono sotterrati nei campi assieme ai semi F1.
Campi dove oggi maturano bene gli interessi delle multinazionali.
E così ai contadini non rimane che scambiarsi di nascosto i semi non ibridi, spedire semi di nascosto all’altra parte del mondo nelle scatole di fette biscottate per eludere i controlli alle frontiere, come fa l’associazione francese Kokopelli.
Se gli agricoltori sono costretti a queste pratiche è perché da anni chi ha il monopolio dei semi ha bloccato gli scambi dall’Europa con l’India e l’America Latina, con il pretesto di difendere la biodiversità locale anche se in realtà hanno creato leggi che impediscono alle popolazioni locali di scambiarsi i semi locali tradizionali.
La fortuna commerciale di queste multinazionali è data dal fatto che con questo sistema legale la maggior parte degli agricoltori, se vogliono lavorare, sono costretti ad acquistare i semi ibridi e far crescere gli ortaggi con questi semi.
Questi agricoltori non potranno poi raccogliere e utilizzare i semi dei frutti per interrarli l’anno successivo, ma saranno costretti a ricomprarli perché i semi F1 sono sostanzialmente sterili, nel senso che se riutilizzati non garantiscono più il raccolto abbondante e dalle stesse caratteristiche per cui quel seme è stato progettato.
Questo viene garantito solo per una produzione, la prima.
Qualora l’agricoltore riutilizzasse lo stesso seme, si ritroverebbe con un raccolto diversificato e imprevedibile, rischiando di essere estromesso dal circuito commerciale.
Chi compra il raccolto sono infatti le aziende della grande distribuzione, che acquistano solo se il raccolto ha le caratteristiche desiderate dall’industria, e se il raccolto arriva a maturazione nei tempi richiesti dall’industria, non qualche settimana in anticipo o in ritardo.
Tutto deve essere standardizzato.
Pomodori maturi tutto l’anno: la soluzione è chimica
pelavano a mano con tanta cura. Ad un certo punto l’industria delle conserve di pomodoro ha dettato le proprie regole e quella buccia sottile non piaceva più.
I requisiti dell’industria per il pomodoro pelato sono:
un colore sempre rosso vivo tutto l’anno, un elevato contenuto di zuccheri per ottenere una buona passata, una consistenza e una forma adatta ai macchinari che effettuano la pelatura.
Oggi il pomodoro pelato ha una buccia dura in modo che si possa sbucciare a macchina.
Nei laboratori chimici delle multinazionali del seme hanno preso dal San Marzano quello che serviva
– la sua fragranza, i suoi profumi e la sua forma – ibridando poi queste caratteristiche con quelle del mercato.
Al genoma del San Marzano hanno unito quello di altri pomodori
per avere più colore, bucce più resistenti e facili da pelare con i macchinari industriali, più durata nello scaffale e più malleabilità ai trattamenti chimici in campo.
I nomi dei pomodori oggi sono in codice: Heinz 1301 F1 è uno di quei pomodori che ha sostituito il San Marzano nelle conserve, e che infatti risulta la varietà più coltivata in Italia come dichiara la dicitura sulla confezione del produttore.
E le varietà di pomodoro prodotte dalla stessa Heinz sono tantissime, oltre questa.
Ogni varietà ha caratteristiche peculiari.
Ma non potrebbe essere altrimenti, visto che ormai pretendiamo di mangiare pomodori, melanzane, zucchine tutto l’anno e che durino molti giorni nel nostro frigorifero, senza però chiederci mai come sia possibile che questi ortaggi estivi possano maturare ed essere disponibili tutto l’anno.
In realtà c’è dietro il lavoro di esperti genetisti di laboratorio, appunto.
I pomodori in campo vanno raccolti quando passa il camion di raccolta della Grande Distribuzione, perché le industrie di conserve trasformano soltanto alcuni giorni dell’anno e hanno un calendario definito.
Gli agronomi passano nei campi in estate e controllano la maturazione dei pomodori, poi lasciano una ricetta all’agricoltore come fossero dei medici che devono sistemare lo stato dei pomodori: prescrivono sostanze maturanti (ormoni) se i pomodori sono ancora troppo verdi, oppure ormoni ritardanti se la colorazione è già troppo rossa e mancano alcuni giorno al passaggio del camion di raccolta.
Con il maturante dopo appena 48 ore i pomodori sono già rossi.
Queste sostanze vengono chiamate agrofarmaci ma il termine è fuorviante in quanto si tratta di ormoni della crescita a tutti gli effetti, fitormoni per la precisione, ormoni vegetali.
Tra questi maturanti un nome molto diffuso è Etefon, a base di etilene.
L’etilene sarebbe l’ormone naturale della pianta, ma quello di sintesi ha la caratteristica di ossidarsi molto facilmente, e l’ossido di etilene è un probabile cancerogeno, a detta di biologi esperti come la dottoressa Fiorella Belpoggi, direttrice dell’Istituto Ramazzini di Bologna, che si occupa di ricerca medica e biochimica indipendente.
La dottoressa fa notare che la cancerogenicità di questa e altre sostanze ampiamente usate in agricoltura viene testata soltanto sugli animali da laboratorio, perché non c’è l’interesse a indagare la cancerogenicità nell’uomo e le autorità UE fanno finta che il problema non esista.
È esattamente ciò che è accaduto con un diffuso fungicida, il Mancozeb, cancerogeno sui ratti grazie proprio ad uno studio fatto dall’Istituto Ramazzini, che ha scoperto per primo al mondo anche la cancerogenicità di sostanze come la formaldeide e del benzene.
Ma la tossicità di tale prodotto nell’uomo non è mai stata testata, nonostante sia il fungicida più diffuso al mondo in agricoltura.
Questo è il sistema di coltivazione, non solo del pomodoro ma di tanti altri cibi.
Chi vuole inserirsi nel settore commerciale e coltivare pomodori deve sottostare a queste regole, altrimenti rimane fuori dal circuito dei grandi numeri e dovrà accontentarsi di essere un piccolissimo produttore che deve occuparsi di tutto dalla A alla Z: seminare, coltivare, raccogliere e poi vendere in proprio nei mercati o nel proprio punto vendita aziendale.
L’ibridazione dei semi crea un problema strutturale
Il punto non è che l’ibridazione sia negativa di per sé.
Anche in natura esistono spontaneamente degli innesti e degli incroci genetici, basti pensare al lavoro continuativo delle api e della semplice azione del vento, che riesce a trasportare sostanze e polveri per parecchi chilometri.
Anche l’uomo ha creato più incroci fin dai tempi antichi, selezionando le varietà più produttive e sperimentando ibridi alla ricerca delle coltivazioni migliori.
Ma c’è una sostanziale differenza: gli incroci che crea la natura e l’uomo non sono imposti a nessun agricoltore, ma sono a libera disposizione di chi li vuole o non vuole utilizzare.
E soprattutto non danno semi sterili dopo il primo utilizzo, si possono ripiantare di anno in anno.
Gli aspetti negativi e di ordine pratico legati alle sementi F1, oltre a tutto il discorso della perdita di biodiversità e dei sapori tradizionali e regionali tipici di alimenti fortemente legati alla coltivazione in un dato specifico territorio, sono essenzialmente i seguenti:
- Costano di più, visto che si paga tutto il lavoro di laboratorio necessario per ibridare le diverse varietà. Il prezzo è nettamente superiore rispetto ad altri tipi di semi tradizionali e locali.
- Non si possono riprodurre e riutilizzare più di una annata (è vietato), costringendo così il produttore a comprare ogni anno semi ibridi nuovi. Usare sementi ibride significa essere sempre dipendenti dal venditore di semi. Niente auto produzione, niente scambio di sementi tra coltivatori. Questo consente la messa in piedi di un gigantesco business per le multinazionali nella vendita di semi.
- Non sempre portano frutti migliori. Le multinazionali selezionano caratteristiche utili all’agricoltura industriale. Poco importa che gli ortaggi siano buoni e saporiti, si cercano piuttosto il bell’aspetto, la forma regolare, la capacità di conservarsi, la maturazione omogenea. Le varietà F1 rispecchiano spesso i valori vacui della nostra società consumistica, basati sull’apparenza più che sulla sostanza.
Per chi vuole boicottare i semi ibridi F1 è consigliabile acquistare sementi tradizionali, locali, o anche solo moderne ma che non sono ibride.
Esistono anche se ormai sono in minoranza. Ancora meglio poi riprodurre i propri semi, scambiarli con altri ortisti, sostenere le associazioni di seed savers.
Un altro modo di evitare i semi ibridi è quello di comprare le piantine nei vivai piuttosto che i semi dal consorzio agrario.
Ovviamente non comprate le piantine F1, perché non potrete trarne dei semi utili per l’anno successivo.
Il San Marzano
era un pomodoro “come Natura crea”, nato in una terra con caratteristiche climatiche e di terreno uniche (di natura vulcanica).
Mentre il pomodoro ibridato di Heinz è un pomodoro insapore come tanti al mondo, omologato, che sopprime la biodiversità e i sapori tradizionali dei territori.
Fonte: lindipendente