La nuova revisione europea
Avv. Angelo Di Lorenzo
Avvocati Liberi
Ha sempre destato imbarazzo la mancanza nell’ordinamento interno di un rimedio in grado di determinare la “revisione” dei procedimenti penali definiti, qualora la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo accerti che la sentenza domestica abbia violato un principio fondamentale della Carta Europea dei diritti.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 113 del 2011 e poi con quella n. 210 del 2013 (nel famoso caso Ercolano), tentava di riempire il vuoto utilizzando l’istituto della revisione di cui all’art. 630 cpp oppure quello dell’incidente di esecuzione di cui agli artt. 671-673 cpp i quali, nel decennio successivo, hanno trovato affinamenti e contrasti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha applicato (o meno) la c.d. revisione europea a seconda dell’orientamento delle singole sezioni della Corte che si trovavano a manipolare un istituto di fattura giurisprudenziale ma inesistente da punto di vista tipico e legale.
Dopo anni di incertezze e disparità di trattamento, il 17 ottobre 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.lgs. 150/2022, che attua la L. delega 134/2021 e porta a compimento la riforma della giustizia penale nota come la riforma Cartabia, introducendo l’art. 628-bis c.p.p., rubricato “Richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali”, che chiude (o dovrebbe chiudere) definitivamente l’odissea giuridica dei procedimenti penali “viziati” da violazioni convenzionali accertate dalla Corte di Strasburgo.
Sulla scorta dell’omologo modello francese del réexamen introdotto con la Legge (Loi) n. 2000-516 del 15 giugno 2000, l’istituto italiano consente al condannato e alla persona sottoposta a misura di sicurezza di richiedere alla Corte di cassazione di revocare la sentenza penale o il decreto penale di condanna pronunciati nei loro confronti, di disporre la riapertura del procedimento o, comunque, di adottare i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Per precisa scelta politica, la legittimazione spetta solo a coloro che hanno proposto ricorso per l’accertamento di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e la Corte europea ha accolto il ricorso.
Altra novità introdotta dalla norma risiede nell’attribuzione in capo alla Cassazione della competenza e di poteri che vanno oltre la mera verifica di cause di inammissibilità, come meglio specificato dal comma 5 dell’art. 628 bis cpp, in quanto la Corte «fuori dei casi di inammissibilità….Se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio, la Corte assume i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna. Altrimenti trasmette gli atti al giudice dell’esecuzione o dispone la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione e stabilisce se e in quale parte conservano efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi».
Il comma 6 stabilisce poi la ripresa della decorrenza dei termini di prescrizione se il rinvio è fatto al giudice di primo grado o l’applicazione dell’istituto dell’improcedibilità se il rinvio è fatto al giudice di appello, mentre il comma 4 consente alla Cassazione di disporre la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza in atto.
Inoltre il comma 2 dell’art. 628-bis stabilisce i requisiti di forma della richiesta, che il successivo comma 3 specifica sono posti a pena di inammissibilità.
Vedremo che tipo di applicazione verrà data a questo nuovo strumento, che rischia di rimanere impantanato nella sabbie mobili di rinvii e controrinvii.
FONTE: ALI – Avvocati Liberi