Crisi del Mar Rosso, ecco quanto costa ai porti italiani dell’Adriatico.
Parla Luigi Merlo, direttore Corporate Affairs di Msc e presidente di Federlogistica-Conftrasporto: “La crisi nel Mar Rosso può incidere sull’operatività dei porti italiani dell’Adriatico e mettere a rischio i 13-14 miliardi di entrate fiscali sotto forma di Iva e accise garantite dal commercio marittimo”
La crisi nel Mar Rosso può incidere notevolmente sull’operatività dei porti italiani dell’Adriatico e mettere a rischio i 13-14 miliardi di entrate fiscali sotto forma di Iva e accise garantite dal commercio marittimo.
Ne è convinto Luigi Merlo, direttore Corporate Affairs di Msc (il principale operatore mondiale con 758 portacontainer) e presidente di Federlogistica-Conftrasporto.
Presidente Merlo, quali porti italiani saranno maggiormente colpiti dalla crisi?
«Trieste e Venezia, perché raggiungerli dal Capo di Buona Speranza è più complesso e più lungo. Per Genova ci possono essere contraccolpi, ma una valutazione vera e propria si potrà fare a fine gennaio».
C’è già qualche dato disponibile?
«A Genova a dicembre erano arrivate 4 navi-container in meno dell’anno precedente e a gennaio per ora almeno un paio. Oggi però è difficile effettuare una valutazione perché non si può dire quante navi effettueranno un trasbordo a Tangeri e quante vadano direttamente a Rotterdam».
Quanto è a rischio Genova?
«Quasi tutte le navi seguono la rotta più lunga dal Capo di Buona Speranza. Genova può subire significativi contraccolpi dalla riduzione dei traffici, però è un porto che serve molto il mercato del Nord Italia. Più problematico il traffico di Trieste verso Germania, Austria e Ungheria, perchè sono Paesi che possono essere serviti dai porti del Nord Europa».
Questa situazione mette a rischio anche le entrate dello Stato.
«Sì, perché nel caso in cui ci fosse un dirottamento di traffici in porti non italiani si ridurrebbero le entrate da Iva e accise che ammontano a 13-14 miliardi l’anno».
Quanto ne verrebbe impoverito il nostro sistema portuale?
«Non poco, anche perché veniamo da un anno caratterizzato da un sostanziale stallo del traffico. L’Italia si attesta ormai su 11 milioni di Teu (misura standard di lunghezza dei container; ndr), di cui 3,5 milioni di trasbordo a Gioia Tauro e altri di destinazione finale. Basta qualche nave in meno per determinare effetti negativi. Soprattutto se anche gli imprenditori italiani decidono di esportare da altri porti: i terminal di Novara e Verona hanno collegamenti diretti con i porti nordeuropei».
Anche l’aumento del costo dei noli è un tema critico.
«I prezzi erano crollati nel 2023, quindi l’incremento era fisiologico. Non a questi livelli però. Per non dire dei costi di assicurazione, balzati in maniera impressionante».
La missione nel Mar Rosso al quale sta lavorando l’Europa può essere risolutiva?
«Vedremo. Se l’obiettivo è solo la scorta delle navi, gli armatori continueranno a restare fuori dal Canale perché non si eviterebbero i razzi da terra. Ovviamente saremmo felici se servisse a stabilizzare la situazione. La fase è comunque delicata e complessa. A febbraio c’è il Capodanno cinese: due settimane durante le quali si bloccherà gran parte dell’attività in Asia. Non oso pensare a ciò che accadrà sul fronte delle consegne stante l’attuale situazione».
Bankitalia sembra molto preoccupata, considerato che dal Mar Rosso passa il 16% delle importazioni e il 7% dell’export italiano.
«Comprendo il punto di vista. Dopo una raffica di aumenti del costo del denaro, se riparte la spinta inflazionistica potrebbe anche ripartire di nuovo l’aumento dei tassi, innescando un circolo vizioso tremendo per il nostro Paese. Tutti gli analisti prevedono che, a seguito della crisi, potrebbero aumentare significativamente i prezzi del petrolio e del gas. Siamo dipendenti da Suez e questo dovrebbe imporre all’Italia, oltre che all’Europa, di avere un ruolo maggiore dal punto di vista politico».
Sono giustificati i timori sul fronte del Pnrr?
«Importiamo materie prime come acciaio, ferro, legno, materiali per le costruzioni, ma anche attrezzature di grandi dimensioni. È chiaro che se l’approvvigionamento viene rallentato o bloccato, ciò può determinare un incremento dei costi delle opere e quindi incidere sul Pnrr».
Fonte: ilgiornale
Sulla crisi del Canale di Suez la bomba del capodanno cinese
Tremano i mercati per l’inizio del Capodanno cinese, dal 10 al 25 febbraio molte fabbriche chiuderanno per settimane paralizzando di fatto gran parte dell’Asia e aggravando così i problemi di approvvigionamento che già si toccano con mano a causa degli attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso.
Gli attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso stanno già facendo più danni della pandemia, almeno per quanto riguarda i commerci.
E’ quanto emerge da un report di Sea-Intelligence, una delle principali società di consulenza sulle catene di approvvigionamento oceanico, che ha analizzato gli attuali ritardi delle navi rispetto a quelli degli ultimi anni.
La necessità di allungare di molto il viaggio per passare attorno al Capo di Buona Speranza, anziché transitare dal Canale di Suez, sta rendendo difficile trovare una nave disponibile per ritirare i container nei porti.
Ciò provoca un crollo della capacità di trasportare merci.
Alan Murphy, ceo di Sea-Intelligence intervistato dal canale tv Cnbc, ha infatti precisato che «questa crisi del Mar Rosso» sta pesando di più «dell’impatto iniziale della pandemia».
Non è difficile immaginare, perché lo si è vissuto in tempo di Covid, cosa può significare: ritardi nelle consegne, impennata dei costi per i trasporti, problemi nell’approvvigionamento del petrolio e del gas naturale liquefatto da cui dipendiamo dopo l’addio al metano russo.
In una parola: inflazione. E prezzi più alti sposterebbero più in là l’orizzonte di un taglio dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali, con effetti pesanti sulle economie per il credito, gli investimenti e la crescita economica.
«Sulla situazione nel Mar Rosso sono molto preoccupato e non uso il termine preoccupazione con frequenza», ha detto il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli. «Il rischio che ci sia un allargamento del conflitto e il Canale di Suez venga bloccato non si sa per quanto tempo è già in atto».
Di questo passo perfino il Pnrr è minacciato, perché se le merci non arrivano e i costi salgono, la fattibilità dei progetti è a repentaglio.
Anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha lanciato un allarme sull’attuale situazione geopolitica che rende assai difficile centrare gli obiettivi di crescita.
Non è un caso, quindi, che l’Europa stia pensando di scendere in campo per tutelare i propri interessi, con una missione spinta da Italia e Francia per scortare i mercantili che dovrebbe ricevere l’ok entro lunedì prossimo dai ministri degli Esteri europei.
A livello numerico, la dimensione del problema la dà il bollettino economico di Bankitalia diffuso ieri:
«Nella seconda metà di dicembre, i volumi in transito nello stretto di Bab el-Mandeb all’imbocco del Mar Rosso, risultavano inferiori di quasi il 40% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente».
E la situazione, nel frattempo, non può che essersi aggravata dopo gli attacchi anglo-americani alle basi Houthi e l’inasprimento delle tensioni nella zona.
Un macigno pesantissimo per importazioni ed esportazioni: «Secondo nostre stime basate su dati relativi al 2022», continua Via Nazionale, «il trasporto navale sul Mar Rosso riguarda quasi il 16% delle importazioni italiane».
Le milizie Houthi, braccio armato dell’Iran, hanno affermato che le acque interne allo Yemen saranno sicure solo per navi non collegate ad alcuni paesi, in particolare Israele.
Ergo: stop agli americani e loro alleati. Dunque, tranquillità solo per Russia e Cina, «le cui spedizioni – avvertono i terroristi – non sono minacciate».
Va detto che su questa rotta transita una larga parte degli acquisti di beni dalla Cina (secondo mercato di approvvigionamento del nostro Paese).
Un terzo delle importazioni italiane nella filiera della moda arriva attraverso il Mar Rosso; l’incidenza è elevata anche per le importazioni di greggio e per quelle di prodotti metalmeccanici, che costituiscono quasi il 30% degli acquisti dall’estero.
Per quanto riguarda le esportazioni, qui vi transita «circa il 7% delle merci in uscita dall’Italia», aggiunge Bankitalia.
Secondo le stime Sace sul 2023, l’export italiano è stato di 660 miliardi: il 7% significa oltre 46 miliardi di merci.
L’ulteriore bomba sui commerci, poi, arriverà dall’inizio del Capodanno cinese, che quest’anno durerà tra il 10 e il 25 febbraio.
Un periodo in cui molte fabbriche in Cina chiuderanno per settimane, paralizzando di fatto gran parte dell’Asia così aggravando i problemi di approvvigionamento che già si toccano con mano.
Come ricordato dal viceministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi, le compagnie portuali hanno avuto una diminuzione delle chiamate del 30-45% sulla rotta Genova-Shanghai.
I noli sono cresciuti dell’85% e su Rotterdam si arriva al 133%.
L’abbandono del Mar Rosso per passare dal Capo di Buona Speranza implica peraltro il 54% dei costi in più per il carburante.
Oltre a questo i rincari delle polizze assicurative navali nella seconda settimana di gennaio è destinato ad aumentare fino al 400%.
Non solo: la rotta lungo la circumnavigazione dell’Africa favorisce i porti del Nord Europa come hub per le merci, una sciagura per lo Stato italiano che incassa 13 miliardi l’anno tra Iva e accise.
Una perdita di centralità dei porti, quindi, sarebbe un danno significativo anche per la casse pubbliche.
Fonte: ilgiornale
Inter
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