In Italia 149 bambini sotto i 12 anni uccisi dai genitori e nessuno ne parla
In media due figlicidi al mese, di cui il rapporto tra gli autori, padri e madri, è piuttosto bilanciato, eppure nessuno manifesta
EURES Ricerche Economiche e Sociali è un istituto di ricerca che ha, tra i vari obiettivi, lo studio di specifici fenomeni e comportamenti sociali attraverso la realizzazione di indagini campionarie nazionali e locali.
Dall’ultimo rapporto elaborato e pubblicato un anno fa, emerge un numero impressionante di bambini al disotto dei 12 anni di età uccisi dai propri genitori tra il 2020 ed il 2022: 149
A Roma, due gemelline di sei mesi uccise dalla mamma che si è gettata nel Tevere tenendole tra le braccia. Ad Aosta, i fratellini, di 7 e 9 anni, addormentati per sempre con un’iniezione letale dalla mamma infermiera, che subito dopo si è suicidata.
In provincia di Bergamo, una giovane mamma ha ucciso i propri figli di 2 e 4 mesi di età, soffocandoli nel sonno perché non ne sopportava il pianto. Un papà di Varese che ha tolto la vita ai propri figli di 7 e 13 anni.
La conta dei bambini uccisi dai genitori è straziante
In media due figlicidi al mese, di cui il rapporto tra gli autori, padri e madri, è piuttosto bilanciato.
Eppure non vi è notizia di manifestazioni, piccole o di massa, di destra o di sinistra, da nord a sud del paese, dedicate esclusivamente a questo fenomeno che forse, fra tutti quelli inerenti alla sfera dei delitti, è il più drammatico.
Forse perché le vittime sono i bambini e, data la tenera età, i loro coetanei non avrebbero modo di esprimere la propria opinione nelle piazze, sui social o in tv?
Una cosa è certa. I bambini non hanno diritto di voto. Non rappresentano un bacino di potenziali elettori e non seguono i talk show in televisione.
Dispiace costatare che le piazze si mobilitano sempre dopo che “i buoi sono scappati dalla stalla“. E’ una spiacevole abitudine nostrana quella di reagire solo dopo che il dramma si è consumato.
Donne e Palestina
Installiamo impianti di allarme dopo che i ladri hanno fatto visita alle nostre abitazioni, stipuliamo polizze assicurative dopo che il tetto è crollato, i governi varano piani d’intervento dopo che le case (non a norma) sono state rase al suolo dai terremoti, o i ponti sono crollati, o gli argini dei torrenti non hanno retto.
Così l’Italia, dopo l’ennesimo omicidio ai danni di una donna, decide che è tempo di manifestare in massa, ma, come sempre, a condizione che i manifestanti di sinistra non si uniscano a quelli di destra e viceversa, che solo le donne italiane siano meritevoli di attenzione e perché no, condendo il tutto con un tocco di politica estera.
Già perché se è lecito manifestare a favore della causa Palestinese (anche se mi sfugge il nesso in seno a una protesta contro il patriarcato e la violenza sulle donne ), sarebbe altrettanto lecito domandare ai manifestanti in questione, scesi in piazza con la kefiah, se a parer loro le donne, in Israele e in Palestina, beneficino dei medesimi diritti.
E magari chiedere loro perché non manifestano mai contro le “madri” che uccidono i propri figli ma si scagliano solo contro i padri assassini? Le nostre città si sono riempite di manifestanti quando scoppiarono i fenomeni “Me too“ e “Black lives matter“.
Perché non manifestare per i diritti delle donne davanti alle ambasciate di paesi arabi
Ovunque in Italia donne dello spettacolo che denunciarono violenze subite anni prima e calciatori in ginocchio prima di una partita. Fiumi di persone nelle piazza e nelle tv italiane per protestare contro gli abusi ai danni di donne e neri di tutti il mondo.
Tuttavia non ricordo manifestazioni davanti alle ambasciate di paesi in cui i fondamentali diritti dell’uomo non vengono rispettati. Non mi sembra, ma potrei sbagliarmi, di aver visto sit in di fronte ai cancelli delle sedi diplomatiche dell’Arabia Saudita o dell’Iran (peraltro membri delle Nazioni Unite), paesi in cui ogni tanto impiccano un omosessuale o dove se istintivamente prima di pranzare in un ristorante hai la malaugurata idea di farti il segno della croce , rischi di finire in carcere o dove alle donne (Saudite) è stato concesso il diritto di guidare un’automobile appena nel 2017.
Così come non vedo entusiasti rappresentanti dei movimenti a favore dell’ambiente sdraiarsi davanti all’entrata dell’Ambasciata della Cina, paese responsabile, da solo, dell’emissione di co2 pari al 30% globale. Forse i veri responsabili da ostacolare a tutti i costi sono gli automobilisti che, sul Grande Raccordo Anulare di Roma, vorrebbero raggiungere il proprio posto di lavoro …
Arrivano i patriarchi!
Ma la parola che va per la maggiore e che riempie bocche e giornali è “patriarcato“ , termine che ha già in pochi giorni spodestato i vari “vulnus”, “sperequazione” e “negazionista”.
Se con il termine patriarcato si vuole indicare un sistema socio familiare in cui è l’uomo che domina e comanda, beh allora il nostro paese non ne è davvero rappresentativo. Forse lo era decenni fa, soprattutto al sud, complice il condizionamento che la Chiesa ha esercitato nella società italiana suggerendo che in una sana famiglia cristiana il marito dovesse essere una sorta di sovrano assoluto relegando la moglie al rango di serva ubbidiente.
Oggi , affermare che sia l’uomo, inteso come padre di famiglia, a ”comandare” ,pare quantomeno azzardato. Mariti e mogli lavorano entrambi (disoccupazione permettendo), si “ fanno le corna” in egual misura, hanno pari diritti e ne beneficiano senza limitazioni. Le mogli escono a cena con le amiche e vanno a ballare senza consorti. Casomai, verrebbe da dire, sono più i mariti che per “strappare” il consenso per una partita di calcetto devono scendere a patti con le proprie compagne.
Ma per fortuna è intervenuto sull’argomento il pontefice
Papa Francesco ha dichiarato: “La violenza sulle donne è una velenosa gramigna che affligge la nostra società e che dobbiamo eliminare dalle radici”.
Sarebbe interessante domandare a Sua Santità quale sia il suo concetto di violenza sulle donne visto che le radici di cui parla, per quanto riguarda tradizioni e cultura del nostro paese (e non solo), affondano proprio nei giardini del Vaticano.
Perché violenza è anche non avere pari diritti, essere ingiustamente subordinati, non avere le stesse possibilità di avanzamento di carriera a parità di capacità, vedersi preclusi ruoli o impieghi solo per il fatto di non essere uomini.
E la Chiesa Cattolica non può certo essere insignita di una medaglia alla parità dei sessi.
Rappresenta una religione in cui Dio è ancora descritto come un uomo barbuto, cui ci si rivolge chiamandolo padre, che ha un figlio, Gesù, la cui madre, Maria, ha nei vangeli canonici poche “scene” in cui di lei si parla, proferisce pochissime parole e viene trattata da suo figlio Gesù in maniera dura e distaccata.
La Chiesa ha una visione della donna che rasenta la misoginia
Nella struttura dell’ordinamento ecclesiastico non ci sono pretesse , sacerdotesse, vescovesse, cardinalesse e tantomeno papesse. Il dizionario della lingua italiana nemmeno include alcune di queste definizioni.
Eva ha guadagnato il diffusissimo epiteto popolare di “puttana” o “porca” e Maria Maddalena, citata nei Vangeli ben 13 volte, passa per essere una prostituta quando in realtà nei testi sacri mai si allude a lei associandola alla professione più antica del mondo.
Le donne tuttalpiù possono diventare suore, che poi altro non sono che delle “perpetue” al servizio della gerarchia. Una visione della donna che rasenta la misoginia.
Anche Babbo Natale è un uomo barbuto. Bello e simpatico, che vola su un carro trainato da renne. Per le donne c’è la Befana, una specie di strega con un orrendo brufolo sul naso, che vola sopra una scopa, per ricordarle il suo dovere, in quanto femmina, di spazzare il pavimento di casa…
Ma a Piazza San Pietro non ho visto manifestazioni contro il patriarcato.
Cosi come per i vari terremoti che hanno devastato il paese, il Ponte Morandi, le alluvioni che hanno distrutto Cantiano, la guerra in Ucraina, presto anche questa drammatica vicenda dell’omicidio della giovane Giulia verrà dimenticata, non prima però di aver riempito i palinsesti televisivi.
Ora che il Covid è passato e Berlusconi è morto, occorrono urgentemente nuovi e freschi argomenti per dar voce alle starnazzanti urla nei talk show della nostra cara TV.
di Marcello Catalano per ROMA.IT