Dobbiamo avere paura di un virus
che ha “dormito” per più di 48mila anni?
Il Pandoravirus yedoma, estratto dal permafrost siberiano, è ancora in grado di infettare un certo tipo di ameba.
Pandoravirus yedoma, così nominato dai ricercatori che lo hanno riportato “in vita”, è rimasto indisturbato per oltre 48500 anni nel permafrost siberiano e sarebbe il virus più antico finora conosciuto.
Secondo lo studio recentemente reso pubblico su bioRxive – un contenitore virtuale di articoli scientifici che non hanno ancora subito il processo di revisione paritetica (noto come peer review) da parte di scienziati che non sono inclusi fra gli autori – il virus sarebbe ancora in grado di infettare la Acanthamoeba, un genere di ameba naturalmente presente nel suolo e nelle acque sia dolci che salate.
Il motivo dello studio
Secondo gli scienziati che hanno condotto la ricerca, e che ne avevano condotte di simili in passato, sarebbe importante effettuare studi di questo tipo per aumentare il nostro grado di conoscenza rispetto a tutti quei microrganismi che potrebbero essere rilasciati nell’ambiente a seguito dello scioglimento dei ghiacciai (ormai non più perenni) e del permafrost, lo strato di suolo ghiacciato presente ad alta quota o nelle regioni artiche. In particolare, sempre secondo il gruppo di ricercatori guidato da Jean-Michel Claverie del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (Cnrs), mentre abbondano studi focalizzati su specie batteriche isolate dal permafrost, scarseggerebbero invece ricerche simili che si concentrino sui virus, potenzialmente anche più pericolosi dei batteri.
L’argomento è fonte di dibattito all’interno della comunità scientifica.
Ne riconosce da un lato l’importanza e dall’altro anche il rischio.
Ad esempio, se venissero liberati involontariamente nell’ambiente microrganismi potenzialmente patogeni per l’uomo o altre specie animali o vegetali?
Nel caso specifico di questo studio, e proprio per ragioni di sicurezza, gli autori sarebbero andati alla ricerca specificamente di virus che interessano le amebe e non altre specie viventi.
Cosa ne possiamo dedurre
Il gruppo di ricerca è riuscito finora a caratterizzare, a partire dai campioni prelevati dal permafrost o da animali rimasti in esso sepolti, un totale di 13 virus finora sconosciuti, tutti in grado di infettare la Acanthamoeba una volta “resuscitati”.
Questo, dicono gli autori, sarebbe indice del fatto che esistono ancora molti virus di cui non sappiamo nulla e che potrebbero in futuro essere rilasciati nell’ambiente.
Tuttavia, non sarebbe ancora possibile stimare per quanto tempo questi siano in grado di rimanere infettivi una volta che sono stati esposti alle condizioni esterne (come la luce UV, l’ossigeno, il calore) e quanto sia probabile che incontrino e infettino un ospite adatto in questo intervallo di tempo.
FONTE: wired