Onlyfans
la deriva allarmante
che banalizza la
sessualizzazione della società
Onlyfans popolare e idolatrato, come se non ci fosse niente di male.
E’ il ritratto che ormai vediamo spuntare fuori dalla stampa mainstream sul social sempre più popolare, anche tra i giovanissimi.
Nato nel 2016, permette a chiunque di mettere on line le proprie foto o performance sessuali, e di trarne profitto attraverso il pagamento dei “fans”.
«C’è una contropartita nel presentarci questo PornHub della porta accanto quale impresa autodeterminata e perfino esemplare sul piano dell’empowerment un giorno sì, e l’altro pure?»
La Stampa e Il Corriere della Sera, tanto per non restare nel vago, ma anche Libero e Fanpage, hanno già proposto vari articoli e soprattutto delle incaute interviste in cui parecchi soggetti tirati fuori dall’anonimato dicono di aver svoltato nella vita, nella carriera e nei soldi.
E questo dopo che hanno iniziato a spogliarsi su Onlyfans. Moltiplicando gli introiti per 10 o divenendo milionari.
E so lo facesse nostra figlia
(o nostra madre) per arrotondare?
E purtroppo, nella logica perversa del consumismo senza freni, questo pare un ottimo argomento per mettersi nelle mani degli “impresari del porno”.
Anzi, no. Perché il nuovo dogma è che “on line non è prostituzione”.
E cosa sarebbe allora, porno etico?
I media su Onlyfans
Il Fatto quotidiano pare poi una specie di promoter di Onyfans.
Cari signori della stampa ma vi rendete conto del messaggio che date al mondo intero e in particolare ai più giovani?
Perché impegnarsi al liceo e all’università, perseguire ideali di ricerca scientifica, di formazione medica, giuridica o filosofica, se magari, svestendosi davanti a una telecamera o a un telefonino, si fatica di meno e si guadagna di più?
Per una volta è stata la laicissima Repubblica a lanciare l’allarme.
Descrivendo un «quadro allarmante», a proposito del «pericolo Onlyfans».
Su cui perfino ragazzine minorenni, oltre a persone di tutte le età, si «scambiavano video osé e si accordavano per fare sesso a pagamento».
Pare assurdo non vedere il legame tra tutte queste devianze con una subcultura del “soft porn”, apparentemente pulito e trasparente.
Lodare chi usa il proprio corpo come strumento di “merchandising” porta a una funesta “iper-sessualizzazione” della società, che alla fine potrà solo renderci peggiori.
Più vuoti, più egoisti, più soli davanti a uno schermo-idolo, e prontissimi a guardare agli altri come potenziali “oggetti da comprare”.
FONTE: Provita e Famiglia
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