Dalle origini della multinazionale alla strategia dietro l’autoaccusa 15 GIUGNO, 2021
Articolo del 15/06/2021 a completamento de “il latte in polvere”
Più di 100 anni di storia sono tanti, ma non troppi per cambiare.
Soprattutto se sei una multinazionale e ti chiami Nestlé.
Ancora di più se, rispetto al cambiamento, sei già consapevole che poco influirà sulle strategie e sui punti cardine dell’azienda.
“Good food, Good life” è il famoso slogan di Nestlé. Un’apparente bella facciata dietro cui si celano numerosi scheletri nell’armadio. Scheletri che l’azienda non nasconde, anzi. Sul sito, nella sezione “Nestlé risponde“, alle domande e perplessità dei consumatori la multinazionale interviene senza troppe remore manifestando trasparenza e chiarezza. Allo stesso tempo, però, la maggior parte di questi richiami rimangono sospesi nel vuoto, come se nulla potrà mai veramente cambiare.
Nestlé: un po’ di storia
La famosa azienda nacque nel 1866, fondata dal farmacista Henri Nestlé a Vevey in Svizzera.
La sua fortuna arriva quando al posto di un figlio, che il dottore e la moglie non riuscivano ad avere, nacque la sua “primogenita”: la farina lattea.
Una creazione geniale e allo stesso tempo proficua che, in quegli anni di alta mortalità infantile, sfamò neonati salvando tantissime vite. Successivamente, Nestlé si fonde con la sua storica rivale, la Anglo-Swiss Condensed Milk Company, che apre la prima fabbrica di latte condensato in Europa.
Negli anni a cavallo tra le due guerre, Nestlé si concentra su un’altra grande materia prima e miniera d’oro: il cioccolato.
Dall’unione di latte condensato, latte e cacao in polvere, venne creata la prima tavoletta di cioccolato.
Infine, la terza materia su cui investe l’azienda è il caffè.
Attualmente, dal 2020, Nestlé ha abbandonato Fairtrade Foundation per unirsi a Rainforest Alliance, una ONG internazionale.
Il marchio, come spiega la guida ai marchi alimentari del WWF, è definito come raccomandato (in una scala che va da eccellente, molto raccomandato, raccomandato e parzialmente raccomandato), è presente sui prodotti provenienti dal Sud del Mondo come caffè, cacao, tè e banane che rispettano standard ecologici e sociali basati sulle direttive di Sustainable Agriculture Network (SAN).
Dal punto di vista del consumo idrico e di protezione delle acque ha buoni risultati, ma sono bassi quelli degli aspetti sociali.
Il documento interno della Nestlé come “mea culpa”
Qualche settimana fa, il Financial Times ha pubblicato l’articolo “Nestlé document says majority of its food portfolio is unhealthy” che rivela una circolare interna della Nestlé e, su questa scia, si è ricominciato a parlare della multinazionale alimentare.
La notizia è preoccupante, ma abbastanza prevedibile.
In sostanza, oltre il 60% dei prodotti alimentari e delle bevande non soddisfano la “definizione condivisa di salute” (“recognised definition of health”) e, soprattutto, alcuni dei prodotti “non saranno mai salutari” (healthy), non importa quanto l’azienda si rinnovi. L’ultimo inciso – non saranno mai salutari – insieme all’ulteriore colpo scandito dal duro e perentorio “mai”, è forse quello che più allarma. A proposito di cambiamento, di fatto così l’azienda ammette che né i suoi prodotti né l’azienda si trasformeranno mai veramente.
Nel portafoglio della Nestlé solo il 37% di cibi e bevande (esclusi gli alimenti per animali e i prodotti della nutrizione medica specializzata) ha ricevuto una valutazione sopra i 3,5 punti.
Il riferimento al punteggio da uno a cinque è utilizzato da organizzazioni come la Access to Nutrition Foundation, in cui 3,5 è la soglia per definire un prodotto “sano“. Il Financial Times aggiunge che il 70% degli alimenti, il 96% delle bevande (escluso il caffè) e il 99% dei dolci non raggiunge quella soglia.
Infatti, come affermano gli stessi amministratori della Nestlé, nonostante i livelli di sodio e zucchero siano già stati ridotti in alcuni prodotti, questo non basta.
Anche perchè un ulteriore calo comporterebbe un notevole peggioramento in termini di gusto e di profilo aromatico. Il risultato sarebbe spiacevole e i prodotti sarebbero completamente diversi da quelli di prima.
Quindi, nonostante l’azienda vorrebbe proiettarsi verso un futuro in cui gusto va a braccetto con salutare, è molto difficile che prima o poi arrivi a soddisfare i requisiti di salute.
E il consumatore?
Il consumatore medio leggendo questa ammissione di colpa della Nestlé cosa farà? Inizierà a boicottare l’azienda e i suoi prodotti?
Impossibile.
Per elencare i prodotti che tutti quotidianamente utilizziamo, più della metà farebbero sicuramente parte del Gruppo Nestlé. Giusto per curiosità, eccone alcuni: Perugina, Baci Perugina, Nero Perugina, KitKat, Smarties, Galak, Lion, Polo, Buitoni, Gelati Nestlé Motta. La Cremeria, Antica Gelateria del Corso, Maxibon, Coppa del Nonno. E ancora: Nidina, Nescafé, Nescafé Dolce Gusto, Orzoro, Nesquik, Fitness, Meritene, Resource Nestlé Mio, Lc1 Protection. Fruttolo, Sveltesse, S.Pellegrino, Acqua Vera, Acqua Panna, Levissima, Purina Pro Plan, Purina ONE, Gourmet, Friskies, Purina Pro Plan Veterinary Diets, Felix.
Una lista interminabile e che potrebbe continuare.
Una lunga serie di scandali e scivoloni
Il caso sopracitato, diffuso dal Financial Times, è solo l’ultimo di molti altri con cui la multinazionale si è dovuta e saputa abilmente destreggiare.
Ad esempio, a fine anni ’80, dopo alcuni controlli, si scoprì che la Nestlé insieme ad altre aziende di latte in polvere infransero più di una volta il Codice Internazionale dell’OMS. Ciò avvenne soprattutto nei paesi meno sviluppati, paesi in cui la Nestlé aderì al regolamento internazionale sulla promozione dei surrogati del latte materno.
Nel 2004 un test di Greenpeace rivelò la presenza di OGM in una confezione di Nesquik. Poi, nel 2005 l’azienda venne condannata per numerosi lotti contaminati di mangimi per animali in Venezuela che causarono la morte di 400 animali di allevamento.
Oltre a questi esempi che giuridicamente riguardano i diritti del consumatore, cioè il diritto all’informazione e il diritto contro le pratiche aziendali abusive, la multinazionale è stata più volte denunciata per episodi frequenti ancor più gravi. Episodi di schiavitù minorile, traffico di minori e ripercussioni sui lavoratori che hanno denunciato l’azienda, una vera e propria violazione dei diritti umani.
L’importanza di nutrire i bambini
Considerato che la maggior parte dei prodotti Nestlé sono destinati all’infanzia non si può parlare dell’azienda senza approfondire la differenza tra nutrire e dare da mangiare.
La nutrizione è un punto fondamentale per l’educazione dei bambini, un bagaglio che si porteranno dietro per tutta la vita. Infatti, un’educazione alla nutrizione sbagliata inficerà, complicherà e peggiorerà la salute del bambino.
Per tornare all’articolo del Financial Times, l’esempio che più salta all’occhio tra i vari prodotti della Nestlé è il Nesquik alla fragola, venduto negli USA.
E’ “perfetto per la colazione e per preparare i bambini alla giornata” se non fosse che una porzione (14 g) contiene 14 g di zucchero e pochi aromi e coloranti.
Il fatto è che non è il Nesquik in sé il problema.
E’ solo un pesce piccolo in un grande oceano di scelte sbagliate. Decisioni prese non solo da genitori nei confronti dei bambini che a colazione o a merenda offrono quotidianamente questi prodotti “più veloci”, ma anche decisioni prese dagli adulti su se stessi.
In conclusione, la multinazionale dichiarando che migliorerà il proprio portafoglio, con prodotti più salutari e nutrienti, fa promesse che è consapevole di non poter mantenere.
Una linea aziendale ben chiara.
Autoaccusandosi e commiserandosi, come chi pensa una cosa ma poi fa l’esatto contrario, riesce avidamente e sapientemente a mantenersi stretta buona parte dei consumatori. Gli stessi consumatori che riescono a mettere da parte notizie, dati, evidenze sfavorevoli sull’azienda e che rimangono ancorati all’immaginario della Nestlé come innocente, candida e affidabile.
Fonte: salgoalsud