Tempi più brevi e costi bassi, la “scorciatoia” dei miglioratori del pane
Farina, acqua, lievito e… miglioratori.
In molti casi, e non parliamo solo di prodotti industriali, la ricetta base del pane viene “arricchita” da aiutini, più o meno naturali.
Servono ad abbreviare i tempi del processo di lievitazione oppure a facilitare la lavorazione dell’impasto o a correggere la scarsa qualità della materia prima, cioè della farina.
Ricorrendo ai miglioratori del pane si accorciano i tempi e anche i costi di produzione.
A scapito naturalmente della qualità del prodotto finale.
Le “scorciatoie” sono tante e non sempre se ne trova traccia in etichetta.
È obbligatorio riportarli quando vengono usati additivi, come gli acidificanti, i conservanti e gli emulsionanti, a patto che si ritrovino anche nel prodotto finale.
Discorso diverso per i coadiuvanti tecnologici, gli estratti del malto o i preparati enzimatici, per i quali non solo non c’è l’obbligo di indicarli sulle confezioni (perché non ne resta traccia nel prodotto finito) ma non esiste nemmeno un elenco, nazionale o comunitario, di quelli consentiti.
Un vero Far West
E così in questo Far West è facile che negli impasti finiscano farine maltate, alfa e beta amilasi (enzimi presenti negli sfarinati ma anche nell’organismo dei mammiferi come i suini) e altri agenti lievitanti per “migliorare” materie prime di scarsa qualità o abbreviare i tempi di lavorazione.
Questo tipo di coadiuvanti possono essere utilizzati negli impasti precotti e surgelati ma anche in quelli artigianali visto che non è sempre il panettiere a decidere se usarli o meno.
“Alcuni additivi o coadiuvanti tecnologici vengono aggiunti direttamente dai molini nei sacchi di farine che vengono acquistati dai forni per la panificazione”, spiega il professor Giangaetano Pinnavaia docente di Tecnologia dei cereali e derivati presso la sede di Cesena dell’Università di Bologna.
Come ti accorcio la lievitazione
A volte invece il ricorso agli “aiutini” è quasi imposto dall’utilizzo di materie prime di scarsa qualità oppure per accelerare il processo di panificazione.
Esistono molti modi ad esempio per “accorciare” la lievitazione.
Per abbreviarne i tempi si può aggiungere lievito, ma senza esagerare altrimenti il sapore ne risente, o si può alzare la temperatura della cella di lievitazione, per velocizzare la fermentazione.
Si possono anche scegliere farine a basso contenuto proteico che, oltre a costare meno, hanno il vantaggio di dover stare poco tempo in posa.
Tuttavia, queste farine al momento della lievitazione non trattengono l’anidride carbonica: l’impasto risulta colloso e, una volta cotto, si trasforma in mollica tutta bucherellata.
Per evitare l’inconveniente, allora, si aggiungono glutine, ovvero proteine che trattengono i gas, emulsionanti come l’E471 e l’E472, che aumentano il volume e danno all’alimento un aspetto leggero e invitante, e alcuni miglioratori, come l’acido ascorbico.
Effetto boomerang
“Se da un punto di vista tossicologico queste sostanze non creano grandi problemi – aggiunge il professor Pinnavaia – è chiaro che influiscono negativamente sulle proprietà organolettiche del pane”.
Prendiamo l’E471 ovvero i mono e digliceridi degli acidi grassi che sono degli emulsionanti che consentono un miglioramento dell’impasto (lo rendono più compatto), soprattutto se è stato fatto con una farina con scarso valore proteico.
“Questi emulsionanti – dice l’esperto – trattengono l’acqua e rallentano il processo di raffermamento del pane che resta così più morbido ma tende a diventare gommoso in meno tempo”.
Un’altra aggiunta molto “gettonata” è l’acido ascorbico che migliora le performance del glutine e permette un corretto sviluppo in volume dell’impasto in cottura.
“Il ricorso all’acido ascorbico – conclude il professor Pinnavaia – sopperisce spesso l’uso di farine con scarso apporto proteico”.
Fonte: ilsalvagente