Massoneria e Corte europea
Prof. Pietro Ratto
L’articolo 5 della legge regionale n. 34 del 5 agosto 1996 fissava, come condizione per poter essere nominato nelle cariche pubbliche della Regione Marche, la non appartenenza del candidato a una loggia massonica.
Si trattava di una disposizione adottata nel rispetto della legge n. 17 del 25 gennaio 1982 in materia di associazioni segrete e in relazione allo scioglimento della Loggia P2, il cui art. 4 specificava le misure da adottare, a livello regionale, nei confronti delle persone – impiegate nel servizio pubblico o nominate a un ufficio pubblico – sospettate di appartenere ad un’associazione segreta.
Altre regioni (Toscana, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Lazio) avevano recepito questa legge, emanando disposizioni atte a prevenire l’infiltrazione di affiliati alla massoneria nelle amministrazioni pubbliche.
Il 31 gennaio 1997 il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani depositava ricorso (35972/97) presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo denunciando la violazione, tra gli altri, dell’art. 11 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, che sancisce la libertà di associazione.
La Corte Europea accoglieva il ricorso del Grande Oriente d’Italia il 12 dicembre 2001, disponendo a favore della loggia un risarcimento danni di 10 milioni di lire, a fronte degli oltre 38 milioni richiesti dal ricorrente.
Analoga decisione Strasburgo prendeva contro le disposizioni anti massoneria della Regione Friuli Venezia Giulia con sentenza del 31 maggio 2007.
D’altra parte, lo stesso provvedimento disciplinare di censura adottato dal CSM il 14 luglio 1993 e confermato con una sentenza in Cassazione (20 dicembre 1996) nei confronti del giudice massone Angelo Massimo Maestri – iscritto al Grande Oriente d’Italia dal 13 aprile 1981 e difeso a Strasburgo dall’avvocato A. Fusillo di Roma – in nome del solito articolo 11, il 17 febbraio 2004 era stato ritenuto illegittimo dalla Corte Europea, che aveva anche disposto un risarcimento danni a suo favore, da parte dello Stato italiano, di 24 mila euro.
La stessa CEDU, nel 2017, non avrebbe esitato a dar ragione anche al Gran Maestro del GOI Stefano Bisi, rifiutatosi di consegnare l’elenco dei massoni di Calabria e Sicilia alla Commissione parlamentare antimafia che stava indagando sulle connessioni tra massoneria e ambienti mafiosi in quelle regioni. Senza parlare del ricorso vinto nel 2024 dal Grande Oriente – depositato dallo stesso Bisi sempre presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – contro la decisione del Tribunale di Prato di escludere i massoni dai suoi consulenti. Naturalmente, sempre in nome dell’articolo 11.
Radio Radicale, commentando la notizia, non ha perso occasione per manifestare il suo dissenso nei confronti del grave “pregiudizio contro la Massoneria“.
Lo stesso problema si è ripresentato in ambito militare.
L’art. 1475 del D.lgs. 66/2010 (Codice dell’Ordinamento militare) prevede che in Italia “I militari non possono aderire ad associazioni considerate segrete a norma di legge e a quelle incompatibili con i doveri derivanti dal giuramento prestato”.
Ma a seguito di un’azione intentata da un ufficiale della marina britannica affiliato alla massoneria, nel 2013 la Corte europea ha ribadito ancora una volta la posizione illegittima di qualunque Stato membro che tenti di vietare l’appartenenza massonica agli ufficiali militari, ritenendola una violazione dei loro diritti umani.
FONTE: Pietro Ratto – BoscoCeduo.it
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