Ci scrive una delle nostre utenti, per raccontarci la sua esperienza relativa ad un ricovero in pronto soccorso in tempo di pandemia. Con piacere pubblichiamo la sua storia, invitandoVi a inviarci le vostre per avere un quadro più completo della disfatta del nostro sistema sanitario nazionale.
Lettera aperta a Ri-esistenza
“Buon giorno, vi seguo da tempo e so che ascolterete questo mio grido di protesta, per questo ho deciso di rendere nota questa brutta esperienza avvenuta circa 15 giorni fa”.
“Abito insieme a mio marito, in un paesino della Valbormida, in provincia di Savona; da noi hanno chiuso l’ospedale, che, per altro, era un fiore all’occhiello della sanità per tutto il comprensorio ligure piemontese e funzionava benissimo.
Ora se qualcuno di noi ha bisogno di cure urgenti, deve farsi 40 chilometri per raggiungere l’ospedale di Savona, sperando di arrivarci in tempo.
Questo è stato ciò che è capitato a mio marito vittima di una presunta colica renale.”
Il fatto
“Ho chiamato il 112, che ora è il numero unico che smista per settore le singole richieste.
Molto gentili ed efficienti, mi hanno messo immediatamente in contatto con il 118, un medico ha fatto le domande di rito per capire la reale necessità del paziente e ha provveduto ad inviare l’ambulanza più vicina a noi.
Posso dire che nonostante abitiamo parecchio fuorimano, i militi sono arrivati in tempi brevissimi e qui, è cominciato il calvario.
Per cominciare, mi hanno sconsigliato di seguirli in pronto soccorso, in quanto l’ingresso ai parenti o accompagnatori è assolutamente precluso.
Mi hanno però assicurato che un medico mi avrebbe comunque messa al corrente delle condizioni di mio marito.
Erano circa le 11,30 quando sono ripartiti ed è cominciata la mia attesa.
Alle 15 mi telefona mio marito, dicendomi che non lo hanno ancora visitato, che lo hanno fatto sedere su una sedia a rotelle perché i letti sono tutti occupati da persone incidentate.
Nessuno ha pensato di dargli sollievo per il dolore.
Gli hanno semplicemente fatto una flebo di fisiologica con una fiala di tachipirina, che di questi tempi sembra essere la panacea per tutti i mali.
Lui è seduto vicino a una signora che è arrivata alla 9 del mattino e, da allora nessuno si è occupato di lei.
Passa un’altra ora e una dottoressa mi chiama per sapere quali farmaci assume mio marito, essendo lui un paziente oncologico ha bisogno di sapere i dettagli, detto questo mi saluta e chiude la comunicazione senza aggiungere nulla.
Per farla breve , lo hanno considerato alle 17, senza dargli nemmeno un po’ d‘acqua per poter fare l’ecografia, alle 18 lo dimettono così, senza una diagnosi ne una terapia, senza peraltro dare a nessuno la possibilità di essere lì al momento dell’uscita.”
Conclusione
“Praticamente lo hanno messo fuori in pigiama e ciabatte, per questo scrivo questa lettera aperta a Ri-esistenza.
Mio marito mi ha chiamato dicendomi: mi hanno dimesso , ti aspetto sulla panchina davanti al pronto soccorso.
Per arrivare da lui ci ho impiegato tre quarti d’ora, e per fortuna faceva caldo, perché una persona non più giovanissima, che non sta bene di salute, messa fuori così è allucinante, e per la cronaca, la signora arrivata alle 9 del mattino ha avuto il suo ricovero alle 18.
Sicuramente la mia non è una disavventura isolata, anzi probabilmente in molti casi è andata peggio, con conseguenze pesanti per coloro che l’hanno vissuta.
Confesso che non ho potuto fare a meno di pensare che la volontà di “uccidere” da parte del sistema, fa parte dei protocolli imposti con carenza di personale, restrizioni e tagli, che non permettono ai sanitari rimasti in servizio di svolgere al meglio il loro lavoro.
Sono pochi, stremati da turni pesantissimi causati dalle molte assenze da sospensioni e anche se cercano di fare del loro meglio, sono in estrema difficoltà.
Ma non è possibile aver trasformato in qualcosa di estremamente pericoloso, un luogo che un tempo serviva per salvarti la vita.
Siamo ad un punto di non ritorno, dobbiamo lottare, al fianco di tutti e per tutti, riprenderci le nostre vite e tornare ad essere umani, dobbiamo cambiare questo maledettissimo sistema
Una vostra lettrice determinata”