Pare che la narrazione terapeutica inizi un poco alla volta a colare a picco. Emergono verità inquietanti sulla gestione dell’emergenza pandemica. In sostanza, i dubbi che da subito manifestammo iniziano a presentarsi come degni di essere creduti nella loro sempre più palese evidenza. Si comincia a parlare da più parti del fatto che la paura è stata utilizzata ad arte, per poter imporre limitazioni durissime che altrimenti mai sarebbero state accettate.
Si principia un po’ alla volta a far emergere un’altra narrazione, dalla quale si evince con limpido profilo come l’emergenza sia anche stata utilizzata come metodo di governo atto a imporre tutta una serie di punti saldi dell’ordine neoliberale che, in assenza dell’emergenza, non si sarebbero potuti imporre o che forse si sarebbero potuti imporre solo con maggiori difficoltà. Penso naturalmente al cosiddetto lavoro agile o smart working, o ad altri punti salienti della riorganizzazione neoliberale verticistica della vita e del lavoro.
E adesso che la verità inizia gradualmente ad affiorare, anche i protagonisti dell’ordine terapeutico e del Leviatano tecno sanitario iniziano a reagire o cercando di rifarsi un’immagine pulita o scaricando la responsabilità su altri, o cercando di far credere che loro non ne sapevano nulla e che si limitavano a obbedire agli ordini. Secondo una spiegazione che troppe volte abbiamo già visto nella storia del Novecento e che francamente appare oggi del tutto inaccettabile. Non sta a me mettere i nomi e i cognomi, mi interessa solo ragionare sul contesto generale.
Le tesi che abbiamo sostenuto e che abbiamo compendiato nel nostro studio Golpe globale paiono ora trovare conferma in quella realtà che, come usa dire, ha la testa dura e sa smentire le interpretazioni mendaci, anche quelle che vengono ripetute ossessivamente, riuscendo a convincere i più della loro presunta verità.
L’emergenza terapeutica è stata, anche se non soprattutto, un grande laboratorio di ingegneria sociale e biopolitica, voglio dire un grande laboratorio gestito dal nuovo capitalismo terapeutico, in nome di un nuovo modello di lavoro, di vita e addirittura di umanità. Questo sta emergendo limpidamente dalle analisi. Questo un poco alla volta viene a galla e dà conferma di quello che dicevamo da subito, cioè il fatto che l’emergenza, più che un’emergenza medica e sanitaria era con tutta evidenza un’emergenza politica, sociale ed economica.
Erano i nuovi assetti di un capitalismo terapeutico che stava prendendo forma e che impiegava ad arte l’emergenza, giustappunto per poter fare cose che senza l’emergenza avrebbe faticato assai a poter fare. Tant’è che i dispositivi emergenziali finiscono per sopravvivere all’emergenza stessa. Tant’è che con l’emergenza abbiamo accettato cose che senza l’emergenza mai avremmo accettato.
Penso al confinamento domiciliare coatto o a dispositivi assurdi, surreali e vergognosi come quello dell’infame tessera verde della discriminazione e del controllo biopolitico di massa totale e totalitario. Insomma, come amava dire Seneca, la verità, anche se sommersa, prima o poi viene a galla. E come si sa, quando la nave inizia ad affondare, i topi sono i primi a fuggire, seguiti subito dopo dalle prostitute. Ecco, in questi giorni non è difficile vedere come molti abbiano già iniziato a comportarsi in questa maniera.
Fonte: Radio Radio