Bruxelles stoppa Dombrovski: ora prudenza c’è il voto di giugno. La premier: no nuove tasse, avanti con le privatizzazioni. I dossier Eni, Poste, Tim, Ferrovie.
Nessuna risposta ufficiale. Nessuna voglia di aprire un fronte con Bruxelles. Nessun interesse di trasformare la tirata d’orecchie di Dombrovskis in un caso politico. Giorgia Meloni in tutte le conversazioni più private minimizza. Spiega che l’Europa fa le sue giuste raccomandazioni ma che l’Italia ha «i conti in ordine e si presenta con le carte in regola». E ancora: «Abbiamo un sistema pensionistico tra i più equilibrati d’Europa, un mercato del lavoro che comincia a girare bene, una borsa che dal 2003 cresce, uno spread sotto controllo…».
Una linea chiara. Una difesa privata ma ricca di elementi. Meloni sono giorni che si confronta con il ministro dell’Economia Giorgetti. E la linea tracciata è oramai nota: ridurre le spese improduttive e andare avanti con le privatizzazioni che – spiega Meloni – «con questo governo mai diventeranno delle svendite». Insomma non c’è un caso Europa contro Italia. O meglio non ci deve essere. E le parole di Dombrovskis? E quel suo «l’Italia non è in linea con le nostre raccomandazioni»? Bruxelles non ha gradito l’affondo del commissario lettone. La sua valutazione così netta. Perchè è la prudenza a regnare a Bruxelles. E a stretto giro di agenzie è arrivata la puntualizzazione di un portavoce di Palazzo Berlaymont: «La posizione della Commissione sulla manovra è quella di novembre, non è cambiata».
Giorgetti e Meloni osservano il dibattito senza scomporsi. Il ministro ribadisce una linea nota: nonostante l’eredità dell’impatto negativo di energia e Superbonus, «andiamo avanti con sano realismo». Una tempesta in un bicchier d’acqua, insomma. Almeno per ora. E le parole di Dombrovskis restano (almeno per ora) parole solo di Dombrovskis. «Abbiamo chiesto all’Italia di intraprendere deviazioni e di rimettersi in linea», aveva attaccato il commissario pur puntualizzando come eventuali procedure per deficit arriveranno solo in primavera. Dopo il 9 giugno in particolare. Ovvero dopo le elezioni Europee. Già perchè il voto ormai alle porte impone prudenza.
Ai vertici della Ue. A Ursula von der Leyen che entro il 21 febbraio confermerà o meno la sua sempre più probabile discesa in campo e che sa quanto può essere utilke il rapporto con Giorgia Meloni. Certo nei palazzi bruxellesi resta tangibile una certa delusione per il no di Roma alla riforma del Mes. Un no di fronte al quale la Commissione non si rassegna. Il confronto Italia-Europa va avanti. Ma – lo sanno bene anche i falchi di Bruxelles – spetta al Parlamento italiano decidere quali sono i prossimi passi. La partita è aperta. L’Italia, lo scorso novembre, è stata inserita nel gruppo dei Paesi rimandati – o sotto osservazione – assieme, ad esempio a Germania, Paesi Bassi o Malta. Sono Paesi che devono essere pronti a mettere in campo correttivi adeguati.
Meloni lo sa e ha il suo piano. Per ora non ragiona sullo scenario disegnato dalle opposizioni che parlano di manovra correttiva con ulteriori tasse e tagli. «Non è ancora il momento. Ci sono cose da fare e abbiamo la giusta determinazione per farle. Certo tagli valuteremo ma tasse no». E per non farsi trovare impreparata sul tavolo a Palazzo Chigi c’è il dossier privatizzazioni. Poste, Ferrovie, Eni, Tim e poi sui capirà ma l’obiettivo dichiarato da Palazzo Chigi è 20 miliardi in tre anni.
Fonte: Avvenire
Inter
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