Foxconn
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Cosa succede a Foxconn, la fabbrica-inferno dove si assemblano gli iPhone in Cina

È la fabbrica che assembla gli iPhone, ed è il primo datore di lavoro privato in Cinacon circa 1,3 milioni di dipendenti sul territorio. 

Foxconn, o Hon Hai Technology Group, è stata fondata a Taiwan nel 1974 e si presenta come il più grande produttore di dispositivi elettronici, con oltre 54 mila brevetti e ricavi per 206 miliardi di dollari lo scorso anno, ma la triste fama degli ultimi anni è dovuta soprattutto alle condizioni di lavoro, alle basse retribuzioni e ai suicidi avvenuti all’interno dei suoi maxi-stabilimenti.

I primi casi di dipendenti che si sono tolti la vita risalgono al 2007, ma il picco si è registrato in due mesi, tra marzo e maggio del 2010, con dieci casi di suicidio.

Livelli elevatissimi di stress, turni di lavoro massacranti, umiliazioni dai superiori in caso di errori e promesse di benefit non mantenute erano all’ordine del giorno, secondo inchieste di allora.

In totale, sono stati almeno 17 i casi di suicidi alla Foxconn in meno di un quinquennio:

chi si è tolto la vita si è buttato dalla cima del dormitorio aziendale dell’impianto di Longhua, alle porte di Shenzhen.

Per contenere l’ondata di suicidi, l’azienda fondata dal magnate di Taiwan, Terry Gou, fece installare enormi reti all’esterno degli edifici.

Foxconn aveva anche mandato una lettera ai dipendenti, poi ritirata, in cui si chiedeva di firmare per sollevare l’azienda da ogni responsabilità in caso di suicidio: i salari dell’epoca si aggiravano attorno ai duemila yuan al mese (277,5 euro al cambio attuale) ma in caso di suicidio l’azienda avrebbe dovuto risarcire la famiglia del defunto con centomila yuan.

Le condizioni di lavoro negli impianti della Foxconn, e in particolare in quello di Zhengzhou, dove si assembla circa la metà degli iPhone che vengono venduti ogni anno al mondo, sono stati oggetto di indagini da parte dell’organizzazione no-profit China Labour Watch: ancora nel 2019, i salari erano rimasti ai livelli degli anni precedenti, insufficienti per vivere a Zhengzhou, e alle basse retribuzioni si aggiungeva lo sfruttamento di studenti lavoratori per soddisfare gli ordini nei periodi di picco della domanda.

Poi è arrivato il Covid-19, che a marzo scorso ha colpito gli stabilimenti di Longhua e Guanlan, alle porte di Shenzhen.

Le restrizioni di marzo scorso hanno costretto i due impianti a fermare la produzione, e tutta Shenzhen a chiudere per una settimana.

Uno scenario non dissimile si presenta oggi, a Zhengzhou, nella provincia interna dello Henan:

l’area circostante l’impianto della Foxconn, dove lavorano almeno duecentomila persone, e’ sottoposta a lockdown per contenere la diffusione del Covid-19.

Già prima, molti dipendenti, soprattutto lavoratori migranti, si erano dati alla fuga, a piedi, nella paralisi dei mezzi pubblici, per le restrizioni a macchia di leopardo già in vigore in diverse aree della provincia.

Un vero e proprio esodo, documentato da video circolanti sui social, in Cina. 

Oltre al timore di contrarre il virus, i dipendenti hanno lamentato le condizioni di lavoro – con carichi sempre più elevati in vista del periodo di festività – e di vita all’interno dello stabilimento.

Per cercare di fermare la fuga, la fabbrica di Zhengzhou, la più grande al mondo per la produzione di iPhone, ha offerto sostanziosi bonus per convincere i dipendenti a rimanere a lavorare nell’impianto a circuito chiuso, e ha dichiarato di avere iniziato a effettuare tamponi quotidiani su tutto il personale.

Il tentativo è quello di prevenire una crisi, con le stime più pessimiste che parlano del rischio di compromettere il 30% della produzione per il mese di novembre all’impianto di Zhengzhou. 

Fonte: AGI

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