Saremo costretti a ristrutturare le nostre case
Preparatevi a sborsare fior di quattrini. Dopo le auto elettriche, la nuova fissa dell’Unione europea è la casa. Il testo, una direttiva per l‘efficientamento energetico, è un passo dal vedere la luce. Addirittura, il primo via libera potrebbe arrivare già il 24 gennaio con pesanti conseguenze sui portafogli italiani. Se, infatti, l’iter si concluderà entro metà marzo, i cittadini dovranno prendere provvedimenti. Come? Stando al Corriere della Sera, in base alle ultime modifiche si prevede che entro il 2030 tutti gli immobili residenziali debbano essere in classe energetica E (in genere ne fanno parte le case costruite in Italia tra gli anni 80-90). Una vera e propria batosta se si considera che circa il 60 per cento degli edifici del Paese si colloca oggi tra la classe F e G. Poi, entro e non oltre il 2033, la direttiva impone il passaggio obbligato alla classe D.
Un cambiamento tutt’altro che semplice: per passare alla classe superiore alle E, infatti, è necessario ridurre i consumi energetici di circa il 25 per cento e per farlo servono interventi mirati. Ossia, cappotto termico interno o esterno, sostituzione degli infissi, nuova caldaia a condensazione. L’obiettivo è dunque quello di arrivare alle emissioni zero tra il 2040 e il 2050. Ma a spese nostre. Gli italiani saranno costretti ad adeguarsi, nonostante la grave crisi economica e i rincari di ogni genere.
Alla base della direttiva – si giustifica l’Ue – l’inquinamento legato agli immobili. Si stima che gli edifici siano responsabili di oltre un terzo delle emissioni di gas a effetto serra e il 75 di essi è inefficiente dal punto di vista energetico. In ogni caso c’è chi per ora può stare tranquillo. Nella nuova bozza di compromesso della direttiva, sono state inserite anche alcune esenzioni. Queste ultime verrebbero previste per gli immobili di interesse storico. L’esenzione, tuttavia, riguarda soltanto gli edifici storici “ufficialmente protetti”, ossia quelli che rientrano tra i beni sottoposti a vincolo. Stesso discorso per le chiese e tutti gli altri edifici di culto, ma anche per le “seconde case”. Anche questo però non basta a placare gli animi: “Le misure contenute nel testo della direttiva”, tuona Giovanni Gagliani Caputo, membro del Comitato esecutivo dell’Unione internazionale della proprietà immobiliare, “non lasciano agli Stati membri sufficiente flessibilità per adattarsi al contesto nazionale, per valutarne la fattibilità, le necessità economiche e verificare la capacità finanziaria dei proprietari e dei conduttori”.
Fonte: DC NEWS