Diritto nativo
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Vaticano
La stretta di Francesco
su immobili e finanza:
«Sono beni della Chiesa,
non dei singoli dicasteri»

Il Motu Proprio riafferma il principio del “diritto nativo”

La mano di Francesco interviene pesante.
Ancora una volta sulle questioni economiche-finanziarie.
Un Motu Proprio ribadisce quanto già noto, ma evidentemente poco o nulla rispettato:

«Tutti i beni, mobili e immobili, ivi incluse le disponibilità liquide e i titoli, che siano stati o che saranno acquisiti, in qualunque maniera, dalle Istituzioni Curiali e dagli Enti Collegati alla Santa Sede, sono beni pubblici ecclesiastici e come tali di proprietà, nella titolarità o altro diritto reale, della Santa Sede nel suo complesso e appartenenti quindi, indipendentemente dal potere civile, al suo patrimonio unitario, non frazionabile e sovrano».

La centralizzazione della finanza
della Curia nell’Apsa mai completata

Il Papa ormai quasi due anni fa ha stabilito che tutte le disponibilità finanziarie – stimate in circa 2 miliardi complessivi – dovessero essere trasferite all’Apsa, e questa le avrebbe fatte gestire – sotto precise direttive contemplate in un Documento di Politica di Investimenti della Santa Sede e dello Stato Città del Vaticano , approvato la scorsa estate.
Ma questi trasferimenti non ci sono stati, solo la Segreteria di Stato ha provveduto, e neppure subito.

«Nessuna Istituzione o Ente può pertanto reclamare la sua privata ed esclusiva proprietà o titolarità dei beni della Santa Sede, avendo sempre agito e dovendo sempre agire in nome, per conto e per le finalità di questa nel suo complesso, intesa come persona morale unitaria, solo rappresentandola ove richiesto e consentito negli ordinamenti civili»

stabilisce il Motu proprio, un nuovo tassello dell’infinito cantiere di riforma delle finanze vaticane, aperto nel 2010 da Benedetto XVI e alimentato di continuo d Francesco, non senza decisioni qualche volta riviste.

«I beni sono affidati alle Istituzioni e agli Enti perché, quali pubblici amministratori e non proprietari, ne facciano l’uso previsto dalla normativa vigente, nel rispetto e con il limite dato dalle competenze e dalle finalità istituzionali di ciascuno, sempre per il bene comune della Chiesa»

aggiunge il documento papale, dal titolo “Il diritto nativo. Circa il patrimonio della Sede Apostolica”.

La natura “pubblica ecclesiastica” dei beni

Nella premessa, il Motu Proprio spiega che

«il diritto nativo, indipendente dal potere civile, della Santa Sede di acquistare beni temporali è uno degli strumenti che, con il sostegno dei fedeli, una prudente amministrazione e gli opportuni controlli, assicurano alla Sede Apostolica di operare nella storia, nel tempo e nello spazio, per i fini propri della Chiesa e con l’indipendenza che è necessaria per l’adempimento della sua missione».

La destinazione universale dei beni della Santa Sede

«attribuisce ad essi natura pubblica ecclesiastica.
Gli enti della Santa Sede li acquisiscono e utilizzano, non per loro stessi, come il privato proprietario, ma, nel nome e nell’autorità del Romano Pontefice, per il perseguimento delle loro finalità istituzionali, del pari pubbliche, e quindi per il bene comune e a servizio della Chiesa Universale».

Una volta che sono stati loro affidati, conclude,

«gli enti li amministrano con la prudenza che la gestione della cosa comune richiede e secondo le regole e le competenze che la Santa Sede si è data, di recente, con la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium e, ancor prima, con il lungo cammino delle riforme economiche e amministrative».

FONTE: IlSole24ore

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