Coscienza
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Coscienza. Il punto di vista della coscienza

Ogni osservazione (visiva) ha il proprio punto di vista associato, che coincide geometricamente con gli occhi aperti e vigili dell’osservatore in quel momento.

Ma dietro gli occhi c’è il resto del corpo e molto di più, c’è una persona sveglia in quel corpo vivo.

Una persona consapevole delle proprie osservazioni, che distingue se stessa dal mondo, potendo riflettere, come in uno specchio, il proprio sé puntiforme immerso nell’immenso mondo che la circonda.

Un mondo accessibile alla conoscenza in quanto osservabile, cioè introiettabile dentro di sé.

Vogliamo chiamarla coscienza?

E’ un po’ presto per dirlo, senza prima menzionare la storia fin qui vissuta dalla persona che, giorno dopo giorno, si identifica sia nel proprio corpo che nei ricordi delle proprie esperienze.

Con la consapevolezza che anche il proprio corpo è nato, cresce, e un giorno morirà, come tutti i corpi vivi di quell’incredibile varietà biologica che popola la Terra, in continua evoluzione individuale e di specie.

Per quel poco che ne sappiamo per “prendere coscienza” è necessario disporre di un corpo relativamente integro e maturo, così come si può “perdere conoscenza” o “perdere i sensi” semplicemente addormentandosi, o per un temporaneo malore improvviso o, a maggior ragione, per il “malore” finale, quello irreversibile che è la morte biologica.

Ma non finisce qui.

Credenze diffuse ed esperienze singole testimoniano di una coscienza anche separata dal corpo fisico.

Un po’ come nell’esperienza del sogno, quando alle percezioni sensoriali del mondo reale si sostituiscono percezioni virtuali autoprodotte, spesso associate a forti contenuti emotivi, ispirate da ricordi, grande fantasia immaginativa, e chissà quant’altro.

Altra questione fondamentale è l’evidente correlazione tra formazione della propria identità e costruzione di un proprio “punto di vista”, metaforicamente inteso come percezione di realtà e visione del mondo.

Per quanto ci si sforzi di essere semplicemente “obiettivi” ci è impossibile conoscere il mondo se non da un punto di vista personale, che diventa perciò stesso identitario, in contrasto con l’universalità del mondo stesso che si vuole comprendere.

Nella sincera ricerca intimistica su se stessi si cerca necessariamente la verità, per maturare la coscienza più autentica possibile di chi siamo, in cosa consiste la nostra singolarità nel mondo, e tanto altro che ci riguarda, magari con l’ambizione aggiunta di voler sapere anche cosa si cela oltre il nostro orizzonte finito.

Un “orizzonte degli eventi” al confine del buco nero della conoscenza, potremmo dire parafrasando un’espressione suggestiva mutuata dal linguaggio degli astrofisici.

Non a caso il biblico “peccato originale” che ha differenziato l’uomo dalle altre creature è l’aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza (del bene e del male), infrangendo così un comandamento divino, quasi una sfida a Dio stesso e, paradossalmente, alla Natura di cui siamo parte.

Con tutte le responsabilità e le conseguenze anche nefaste del caso.

E che si tratti di una sfida alla nostra stessa natura ce ne dovremmo accorgere sempre più chiaramente, man mano che si amplia l’orizzonte della conoscenza scientifica, percepibile parimenti al baratro dell’ignoranza che anziché ridursi s’ingigantisce nelle sue profondità abissali.

Il che rende sempre più pericolosa l’esperienza della stupidità, che nell’arco di una pur breve vita incombe continuamente e alla fine non risparmia a nessuno qualche scivolone, più o meno grave.

“Stupido è chi stupido fa” diceva la saggezza di Forrest Gump, ereditata da una madre consolatoria.

E come dargli torto osservando taluni comportamenti anche in persone normalmente reputate intelligenti!

A queste fragilità umane solo una coscienza vigile può sperabilmente costituire un argine efficace, e in tal senso occorre coltivarla, ravvivando di continuo il piacere illimitato della conoscenza.

Alle severe carenze individuali si può rimediare in larga misura dedicandosi alle relazioni sociali, a partire da quelle parentali, amicali, affettive, e anche le semplici conoscenze occasionali, variamente originate e di questi tempi promosse, o degradate a seconda dei giudizi, dalle tecnologie della comunicazione di massa.

Infatti sono gli stimoli esterni, e in particolare quelli intellettuali che scaturiscono dal confronto col pensiero e i sentimenti altrui, che possono indurre le riflessioni più costruttive, stimolando una creatività favorevole alla propria crescita e maturazione sia culturale che animica.

Ma pur ampliando in tutti i modi i propri limiti s’incontra fatalmente il confine finito dei propri orizzonti, oltre il quale si è comunque incuriositi ed attratti, per trascenderlo in una continua ricerca aperta anche all’imponderabile.

Se tutto ciò corrisponde al vero noi umani rappresentiamo una contraddizione vivente, essendo portatori di una coscienza universale che può scaturire solo dalla nostra singola individualità particolare, anzi particolarissima, unica e irripetibile, anche se malauguratamente dovessimo arrivare a clonare il corpo umano come già si paventa, violando ogni limite etico della coscienza stessa.

Cos’è quindi la coscienza, l’essere consapevoli, e l’intenzionalità che ne deriva praticando il libero arbitrio?

Domande di fondo alle quali i più tentano, invano, di rispondere a partire dallo stato dell’arte della conoscenza scientifica, con le sue grandezze fondamentali misurabili, come lo spazio-tempo, la massa-energia, i vari tipi di forze e di campi che le producono, ecc. ecc. fino agli ultimi sconcertanti sviluppi della meccanica quantistica, nel tentativo sempre più disperato di gettare ponti tra questi modelli astratti ed il nostro lacunoso sistema percettivo, a sua volta inspiegato nella sua essenziale dinamica conoscitiva dalle neuroscienze.

(Situazione disperante, ma che non ci consente di arrenderci alla nostra inadeguatezza, lasciando campo libero agli incoscienti, che pretendono di scherzare col fuoco sperimentando tutto ciò che di nuovo si scopre e diventa possibile, inferno in Terra compreso, in totale spregio delle complesse armonie naturali di cui tutti godono i frutti.)

Perché invece non procedere all’inverso, ovvero partire dalle nostre percezioni naturali, ponendo al centro la coscienza così sperimentata, per allargare poi tale conoscenza, di cui già disponiamo animicamente, includendo anche il mondo fisico, in parte già descritto da leggi universali che lo rendono potenzialmente accessibile (e manipolabile) solo in quanto modello matematico parimenti introiettabile?

Ambizione da far impallidire perfino Don Chisciotte, mi sembra chiaro, ma alla cui realizzazione potremmo essere più vicini di quanto si possa immaginare.

In fondo mi riferisco al metodo d’indagine storicamente adottato fin dall’antichità, ma che pare abbiamo abbandonato, abbagliati come siamo dalle mirabolanti applicazioni di massa delle ultime conquiste tecnologiche.

E più banalmente per conflitto d’interessi tra gli agi materiali e le necessità dello spirito, ancor prima delle enormi difficoltà intrinseche all’applicazione di questo approccio antispecialistico.

Molto più modesta e facilmente concretizzabile, ma non meno importante, è l’ambizione di comprendere, e far comprendere al nostro prossimo, come i nostri punti di vista, così diversificati per intere categorie di persone, possono diventare in realtà oggetto di confronto rispettoso e costruttivo più che di divisione e guerra intesa in tutte le accezioni del termine, sempre negative e distruttive.

Se solo lo sviluppo delle coscienze arrivasse a maturare nel profondo anche questo tipo di rispetto reciproco, il contrasto ai peggiori mali del nostro mondo diverrebbe efficacemente realizzabile, tanto da poter archiviare definitivamente i periodi storici più bui e dolorosi, a partire da quello corrente.

In fondo basta analizzare i punti di vista propri e altrui, non solo nei contenuti, ma anche nel modo in cui vengono costruiti.

E visto che tendiamo a identificarci in tali punti di vista, quanto c’è di autenticamente nostro nella loro costruzione e quanto invece di indotto, peggio ancora se in modo strumentale e fraudolento, dal sistema in cui viviamo?

E’ ovvio che questa seconda componente distrugge la nostra vera identità ed essenza sostituendola, falsificandola ed alienandoci da noi stessi, rendendoci infelici.

Nessuno può dirsi del tutto esente da questa deriva in parte fisiologica, perciò basta scagliarci pietre a vicenda in base a giudizi corrotti.

Pensiamo piuttosto a migliorare, o rivoluzionare quando è il caso come lo è qui ed ora, questo nostro sistema alienante, liberandolo dall’ipocrisia diffusa che comporta inevitabilmente anche il prezzo di subire una tirannide elitaria, così come vorremmo liberare noi stessi, le nostre potenzialità, il nostro modo di voler essere autenticamente felici, conoscendoci meglio.

La coscienza lo vuole, è da stupidi tradirla.

Di Alberto Conti

Fonte: comedonchisciotte

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