Il Prof. Paolo Garello ci ha chiesto di divulgare questo comunicato del Comitato Nazionale Psicologi riguardo la propria posizione in tema di politiche promosse nell’ambito dell’identità di genere.
Ri-Esistenza accoglie con estremo piacere e pubblica:
COMUNICATO
COMITATO NAZIONALE PSICOLOGI
per l’Etica, la Deontologia e le Scienze Umane
Al Ministero della Salute al Ministero della Famiglia al Tavolo tecnico di approfondimento in materia di trattamento sulla disforia di genere.
Il Comitato Nazionale Psicologi EDSU ritiene fondamentale sottoporre alla Vs attenzione e rendere pubblica la propria posizione riguardo alle politiche promosse nell’ambito dell’identità di genere.
Si tratta di obiezioni dalle quali non si può prescindere nel predisporre le azioni sociali atte a rispondere in modo efficace al dilagante disagio giovanile, inquadrato semplicisticamente in “problemi di identità di genere”.
Il modo superficiale, avventato, pericoloso, ideologizzato, in cui viene trattata la disforia di genere sta producendo un impatto allarmante sul sociale, sulla cultura e in particolare sull’infanzia e l’adolescenza.
L’intervento troppo precoce e artificioso nel processo di definizione dell’identità di genere viene meno al principio di precauzione e contribuisce a creare confusione nel periodo pre-puberale e adolescenziale, quando ancora tale identità non è delineata chiaramente.
Non sono soltanto il trattamento farmacologico e quello chirurgico a condizionare pesantemente lo sviluppo psicofisico del soggetto in crescita, con un impatto che si ripercuote sulla sua intera esistenza: anche i semplici interventi psico-educativi anticipatori sono fortemente condizionanti sia per i soggetti che per le loro famiglie.
Infatti oltre alla irreversibilità degli interventi fisici, anche i “semplici” interventi di “indirizzo” alla transizione (suggerimenti psicoeducativi) sono non reversibili in quanto deprivano il bambino o l’adolescente di fondamentali tappe dello sviluppo.
Quali sono i presupposti logico-metodologici della psicologia affermativa?
Quali le evidenze scientifiche?
E quali sono gli effettivi esiti terapeutici?
- Dal punto di vista epistemologico l’approccio affermativo sembra amplificare l’importanza della percezione che l’individuo ha di se stesso, privilegiando l’immaginario anziché la realtà biologica della persona; ovvero accetta in maniera acritica l’ideazione del momento senza verificare se essa possa essere un sintomo di immaturità nello sviluppo del sé, il che va a discapito del soggetto stesso e della sua integrità.
Tale approccio rinuncia ad ogni seria anamnesi volta a individuare l’eziologia dell’incongruenza di genere, arrivando a postulare, più o meno implicitamente, che una qualunque idea si manifesti in un soggetto possa prescindere dal contesto e dalle relazioni implicate, attuali e pregresse.
Sia l’apprendimento del linguaggio e il suo utilizzo e sia il processo ideativo sono frutto dell’interazione sociale e familiare, esattamente il contesto che la psicologia affermativa rifiuta di analizzare.
Pertanto una diagnosi di disforia di genere senza la dovuta anamnesi si trasforma potenzialmente in un rinforzo psicologico, anche laddove l’adolescente e i familiari avessero dubbi non espressi. - Gli adolescenti, talvolta con un atteggiamento oppositivo all’interno del nucleo familiare, minacciano il suicidio qualora osteggiati alla transizione.
Di questa minaccia viene fatto un uso strumentale in collusione con il loro ricatto emotivo, rendendolo un mezzo di manipolazione culturale e di pressione nei confronti dei genitori, accentuandone la fragilità e sovvertendo l’asimmetria della relazione con i figli.
La più recente letteratura evidenzia invece come in realtà siano proprio coloro che hanno intrapreso la transizione a registrare un alto tasso di suicidi. - Affrontare un percorso terapeutico per tutto il nucleo familiare può risultare più costruttivo tanto per l’individuo quanto per la comunità, contrariamente all’approccio affermativo, nato con l’obiettivo dichiarato di “tutelare i diritti della comunità LGBTQIA+”.
Nell’approccio affermativo i genitori non hanno realmente voce in capitolo, ma vengono coinvolti solo per “essere aiutati” ad accettare l’ideazione del figlio.
Le ricadute umane, sociali e – non ultime – economiche di questo secondo approccio sono decisamente più elevate. - Alleviare la sofferenza è sicuramente compito della Psicologia e della Sanità tutta, ma farlo senza una chiarificazione seria su cosa sia l’identità umana non fa che rendere lecita ogni delirante identificazione possibile.
- Si rileva anche il mancato rispetto del principio giuridico di precauzione nonché la sua espressione nel codice deontologico dell’Albo dei Medici ove recita “primum non nocere”, tanto che non viene nemmeno presa in considerazione la possibilità di una prudenziale analisi differenziale.
- Il processo diagnostico va individualizzato e non deve ridursi a una mera attribuzione di etichette
La percezione interiorizzata del corpo matura attraverso una serie di fasi, le quali vanno dall’estrema dipendenza fino all’autonomia raggiunta con l’esperienza.
È un processo delicato, perché fino all’età adulta il corpo si modifica rapidamente e radicalmente.
Tale sviluppo è influenzato da una serie di fattori, fra cui la qualità dell’ambiente affettivo, fisico e sociale, le condizioni di vita, le abitudini alimentari, l’esercizio fisico, lo studio, le attività manuali e creative.
L’esito sano dovrebbe essere la padronanza ad amministrarsi con soddisfazione in rapporto all’ambiente.
Se il soggetto si trova in un nucleo familiare disfunzionale sarà facile preda di un ambiente culturale che, per ragioni di marketing, propone pervasivamente formule di gratificazione che, a verifica concreta, si riveleranno false promesse fallimentari: soluzioni riduzioniste fondate sull’illusione che modificare il corpo sia sufficiente a superare disagi che hanno invece una loro matrice complessa. Una pedagogia adeguata insegna che la soddisfazione dipende dall’acquisizione di concrete capacità, diventa perciò evidente che la mera modifica della propria immagine, sperata come risolutrice, è una scorciatoia per non confrontarsi con il mondo mettendosi concretamente in gioco.
È sintomatico che la problematica gender si manifesti prevalentemente in ambiente urbano.
Affermare una competenza prematura del bambino ad autodeterminarsi rispetto al genere apre la strada a derive pericolose, estendendosi ad altre arbitrarie autoaffermazioni, come qualsiasi tipo di scelta sessuale, anche verso un adulto e condurre alla legittimazione della pedofilia e della prostituzione minorile.
La sovraesposizione alla sessualizzazione precoce, che si sta manifestando nelle scuole di ogni ordine e grado, sotto l’illusoria apparenza di una massima libertà, induce invece una scelta condizionata che non rispetta i ritmi evolutivi del bambino e dell’adolescente e la loro spontaneità.
Questo potrebbe spingerli ad aderire patologicamente all’aspettativa ambientale.
Il sottoporsi ai processi di transizione compromette irreversibilmente la capacità riproduttiva in una fase di sviluppo in cui non si riconosce il senso della sua importanza.
Ne consegue un futuro ampio bacino di utenza per la maternità surrogata.
Chiediamo
- di interrompere ogni forma di blocco della pubertà (come l’impiego di Triptorelina)
- di sospendere l’approccio farmacologico o di altra natura e di vietare l’uso dei trattamenti ormonali, almeno fino al raggiungimento della maggiore età
- di promuovere politiche che supportino le famiglie e le mettano in grado di occuparsi più adeguatamente dei loro figli
- di cessare le politiche che depotenziano il ruolo genitoriale
- che i corsi specifici di formazione rivolti a insegnanti e genitori facciano preciso riferimento alle tappe di sviluppo, con particolare attenzione alla sfera emozionale individuale, ai meccanismi relazionali, ai bisogni educativi e affettivi
- che i suddetti corsi non siano ideologicamente orientati
- che i punti di ascolto presenti sul territorio, presso le scuole e le istituzioni coinvolte, diano voce alle esigenze inespresse di ragazzi, adulti, corpo docente e di chiunque voglia rilasciare la propria esperienza o esprimere i propri dubbi, raccogliendole attraverso verbali accessibili al personale a cui compete
- che vengano istituiti momenti di incontro tra i professionisti coinvolti per scambiare liberamente opinioni in un’ottica multidisciplinare e mettere a disposizione la propria competenza in base alle richieste ricevute
- che vengano prodotti opuscoli e pubblicazioni da distribuire alla popolazione affinché si porti a conoscenza il risultato dei suddetti incontri e le possibili nuove prospettive
- di escludere l’approccio affermativo per quanto riguarda bambini e adolescenti, e tornare a un serio processo diagnostico da effettuare con cautela e competenza specifica.
Chiediamo infine, per tutte le ragioni sopra esposte, di essere rappresentati come interlocutori al Tavolo tecnico di approfondimento in materia di trattamento sulla disforia di genere istituito dal Ministero della Salute.
Comitato Nazionale Psicologi EDSU, 27 maggio 2024.
Inter
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