Diverse fazioni palestinesi, tra cui Hamas e Fatah, si sono concordate per la formazione di un governo durante un meeting in Cina. Gli analisti però hanno affermato che l’accordo si rivelerà difficile da attuare, sia per le profonde inimicizie tra le fazioni palestinesi sia per la ferma opposizione da parte di Israele e dell’Occidente.
La Dichiarazione di Pechino è stata firmata durante la cerimonia di chiusura del dialogo di riconciliazione tra le quattordici fazioni palestinesi, dal 21 al 23 luglio. L’incontro ha segnato l’ultimo tentativo di sanare lo scisma nazionale palestinese che ha sfidato ogni tentativo di mediazione sin dal 2007, quando il gruppo islamico Hamas conquistò la Striscia di Gaza in una guerra civile lampo con Fatah. L’incontro si è svolto nel contesto dei tentativi di raggiungere un accordo di cessate il fuoco dopo nove mesi di guerra tra Israele e Hamas a Gaza. Uno dei punti critici è il piano del “giorno dopo”: come sarà governata l’enclave gestita da Hamas una volta terminata la guerra, iniziata il 7 ottobre?
Hamas ha accolto con favore la dichiarazione, affermando che crea una “barriera contro tutti gli interventi regionali e internazionali che cercano di imporre realtà contrarie agli interessi del nostro popolo”. Ma non ci sono stati commenti immediati da parte del movimento Fatah guidato dal presidente Mahmoud Abbas nella Cisgiordania occupata da Israele. A marzo, Abbas ha nominato un nuovo governo dell’Autorità Palestinese (AP) guidato da uno dei suoi alleati, Mohammad Mustafa.
La posizione di Israele
Israele ha manifestato la sua obiezione: il ministro degli Esteri Israel Katz ha affermato che Abbas aveva abbracciato “gli assassini e gli stupratori di Hamas” invece di “rifiutare il terrorismo”. “In realtà, ciò non accadrà perché il governo di Hamas verrà schiacciato e Abbas osserverà Gaza da lontano. La sicurezza di Israele rimarrà esclusivamente nelle mani di Israele”, ha detto Katz.
Identificato dall’Occidente come gruppo terroristico ben prima del 7 ottobre, Hamas aveva precedentemente affermato di non essere disposto ad avere ruolo nel governo di Gaza del dopoguerra; da qui il tentativo di accordarsi con Fatah per l’instaurazione di un governo tecnocratico.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che il suo obiettivo è distruggere i militanti di Hamas e si oppone a qualsiasi ruolo nell’amministrazione di Gaza del dopoguerra. Il governo di destra di Netanyahu, che rifiuta la richiesta dei palestinesi di uno Stato indipendente, si è anche opposto all’instaurazione di un governo palestinese a Gaza.
Le criticità relative all’accordo
Il punto più importante dell’accordo è il piano di formazione di un governo di riconciliazione nazionale ad interim attorno al governo postbellico di Gaza e della Cisgiordania, ha affermato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Hussam Badran, alto funzionario di Hamas, ha dichiarato che il governo di unità nazionale supervisionerà anche la ricostruzione e preparerà le condizioni per le elezioni. Ashraf Abouelhoul, specialista in affari palestinesi e caporedattore del giornale statale egiziano Al-Ahram, ha affermato che precedenti dichiarazioni simili non erano state attuate e che nulla sarebbe accaduto senza l’approvazione degli Stati Uniti.
“Stati Uniti, Israele e Gran Bretagna hanno rifiutato la formazione di un governo di unità nazionale con Hamas. C’è consenso tra questi paesi nell’escludere Hamas da qualsiasi ruolo nel dopoguerra”, ha detto Abouelhoul. Definendo l’incontro con la Cina come “un evento celebrativo”, ha ribadito che è “impossibile risolvere i problemi tra le fazioni palestinesi in soli tre giorni”.
Ciononostante, l’accordo dimostra ulteriormente la crescente influenza di Pechino in Medio Oriente, dopo aver mediato un accordo di pace rivoluzionario tra i nemici regionali di lunga data, l’Arabia Saudita e l’Iran, l’anno scorso.
Negli ultimi mesi i funzionari cinesi hanno intensificato la difesa della Palestina nei forum internazionali, chiedendo una conferenza di pace israelo-palestinese su larga scala e una data specifica per attuare una soluzione a due Stati.
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