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Cer: Le Comunità energetiche rinnovabili non fanno affari ma generano risparmi

«L’aspetto innovativo delle Comunità energetiche rinnovabili è che bisogna trovare un punto di equilibrio tra gli interessi di tutti i soggetti coinvolti.

Se io sposto l’equilibrio troppo a favore dell’investitore, il membro non sarà motivato ad aderire.

È molto interessante perché la coperta è corta: se la tiri troppo da una parte si scopre dall’altra.

Non è un’opportunità di business, ma di risparmio per chi partecipa».

Sara Capuzzo è presidente di ènostra, una cooperativa che, oltre a fornire energia elettrica da fonti rinnovabili, si occupa di affiancare i soggetti che intendono costituire Comunità energetiche rinnovabili (Cer).

Chi si rivolge a «ènostra» per costituire una Cer?

Nella maggior parte dei casi sono enti locali, sindaci o assessori, che hanno colto l’opportunità di questo strumento, ma non hanno le competenze per svilupparlo, essendo un campo del tutto nuovo.

Noi elaboriamo uno studio di fattibilità, in cui analizziamo le potenzialità di produzione di energia da varie fonti rinnovabili, non solo fotovoltaica, e cerchiamo di capire quali possono essere i soggetti interessati: famiglie, ma anche reti o gruppi informali di cittadini, come i Gas, in modo da rendere il progetto il più collettivo possibile.

In seguito si organizza una presentazione pubblica per illustrare il progetto e i suoi benefici economici, ambientali e sociali.

Qual è oggi il vantaggio di un cittadino o di un’impresa che aderisce ad una Cer proposta da un ente locale?

Se un Comune ha la possibilità di destinare risorse a fondo perduto, significa che tutti i benefici della Cer potranno essere destinati ai membri nelle forme che essi stessi decidono di darsi.

Invece, nel caso in cui un Comune attinga ai prestiti a tasso zero del Pnrr , una buona parte delle entrate dovrà essere utilizzata per restituire il capitale.

Abbiamo calcolato che i benefici, che nel primo caso ammontano a circa 200€ al MWh, scenderebbero a 80€ al MWh nel secondo caso.

Noi, che abbiamo un approccio cooperativo, raccomandiamo attenzione: se c’è un investitore terzo che intende questo modello come opportunità di business, ai membri rimarrà poco.

Alle Cer dunque si interessano anche i grandi investitori?

Sì, ci sono molti soggetti che si stanno affacciando.

Bisogna sapere che l’interesse dell’investitore è contrapposto all’interesse del membro della Comunità energetica.

È una situazione completamente diversa rispetto al Superbonus: in quel modello, l’interesse dell’impresa che realizza i lavori e quello del committente non sono in conflitto.

Questo spiega l’utilizzo dei materiali più costosi, degli impianti top di gamma e le speculazioni che hanno determinato il rialzo dei prezzi. Nelle Cer le dinamiche sono diverse.

Esiste un modello ideale?

Tanti si stanno interrogando su quale possa essere.

Ci si chiede anche quali siano gli indicatori più opportuni da utilizzare per verificare gli impatti di una Cer su un territorio.

Dal momento che questi progetti possono avere un grosso potenziale dal punto di vista sociale su zone marginali o a rischio di spopolamento, in termini di sviluppo, posti di lavoro, partecipazione alla vita politica, coesione della comunità, ecc., andrebbero valutati con gli indicatori del Bes (Benessere equo e sostenibile) e non solo in termini di reddito pro-capite lordo e riduzione di CO2.

Tra gli obiettivi delle Cer c’è anche il contrasto alla povertà energetica per aiutare chi non ce la fa a pagare le bollette. Come fanno i sindaci a selezionare le persone che ne hanno diritto?

Questo è un aspetto delicato, che io sollevo spesso.

In genere si utilizza l’Isee, ma sappiamo che c’è molto sommerso e si possono creare frizioni o conflitti.

Ritengo che sia importante il ruolo degli assistenti sociali, anche perché va protetta la privacy delle persone.

Esistono già Cer composte da privati cittadini?

Ci sono gruppi di privati che si stanno muovendo, ma tante situazioni sono ancora bloccate sia in attesa dei decreti attuativi sia per capire come evolve il settore.

Io credo che tra un anno, quando ci saranno esperienze consolidate ed elementi numerici su cui basarsi, allora si muoveranno più velocemente.

L’incentivo di 110 € al MWh sembra molto, ma alla fine è risparmio, non è business.

Chi ha realizzato un impianto fotovoltaico con il Superbonus 110% può metterlo a disposizione di una Cer?

Sì, ma la potenza realizzata con il Superbonus non beneficia dell’incentivo di 110 € al MWh, ma solo del contributo di 9 € MWh di Arera, che non è granché.

Anche per le imprese è interessante realizzare una Cer?

Ci sono casi in cui per un’impresa può essere più conveniente realizzare un proprio impianto senza aderire ad una Cer.

Però ci possono essere altre situazioni: per esempio, un’impresa con un vasto tetto che consuma poca energia e un’altra che consuma molto ma ha un piccolo tetto, possono avere interesse a creare una comunità per produrre e scambiarsi energia.

Lo stiamo verificando con un progetto che ci è stato richiesto dalla Lega Coop della Romagna, lo stesso faremo nella provincia di Monza e Brianza.

Cosa succede se, per qualche motivo, l’impianto di produzione di una Cer è calibrato male e non c’è equilibrio tra produzione e auto-consumo?

Si perde l’incentivo. È vero, gli impianti vanno calibrati bene, non dico che la produzione debba coincidere al 100% con il consumo, ma almeno il 70-80% in modo che esista un margine di miglioramento nei comportamenti individuali nell’uso dell’energia.

Anche l’investitore ha interesse a realizzare un impianto equilibrato: i benefici di un soggetto terzo investitore dipendono anche dai comportamenti dei membri della comunità.

Una situazione interessante, in cui a tutti è richiesto di essere virtuosi.

Fonte: ilmanifesto

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