Carenza Infermieri. In Italia il 5,5% è straniero. Fnopi: “Contro carenze incentivare giovani. Assumerli dall’estero è soluzione tampone”
Dei professionisti non italiani, le cittadinanze estere più rappresentate in Italia sono: Romania (12mila), Polonia (2mila), Albania (1.848), India (1.842) e Perù (1.500).
29 SET –
Tappare la falla cronica della carenza degli infermieri in Europa e in Italia importandoli da altri Paesi.
L’ipotesi, più volte rilanciata anche dal ministro della Salute Orazio Schillaci, che ha parlato in pubblico dell’India come possibile ‘partner’, trova più di qualche ostacolo nella sua concretizzazione.
Pariamo dai numeri, ci dicono “che al 29 settembre dei 456mila infermieri presenti in Italia, 25.130 (5,5%) non hanno nazionalità italiana (1 su 18) e, di questi, 15.674 provengono da paesi Ue e 9.456 da paesi extra Ue”, rileva l’analisi Fnopi (Federazione nazionale Ordini professioni infermieristiche) per l’Adnkronos Salute.
Dei professionisti non italiani, le cittadinanze estere più rappresentate in Italia sono: Romania (12mila); Polonia (2mila); Albania (1.848); India (1.842); Perù (1.500).
“Come ente sussidiario dello Stato ci mettiamo a disposizione” per cercare soluzioni alla carenza “di 70mila infermieri” anche con colleghi stranieri, “non possiamo impedire una libera circolazione dei professionisti”, evidenzia Nicola Draoli, consigliere nazionale Fnopi.
Ma, precisa, “è una soluzione tampone, devono esserci protocolli e percorsi codificati e chiari per certificare le competenze e la conoscenza della lingua italiana.
E quindi garantire la sicurezza delle cure.
Il problema principale resta quello di una mancata programmazione e di incentivare i giovani affinché studino infermieristica.
Motivati, con percorsi di carriera riconoscibili e con adeguate retribuzioni”.
Agli stranieri che si sono formati in Italia e sono iscritti ad un Ordine, vanno aggiunti “gli infermieri arrivati durante la pandemia Covid (circa 11mila) e altri 1.800 arrivati per effetto del decreto Ucraina, che non sono stati monitorati”, precisa la Fnopi.
“Questa fase delle deroghe all’esercizio professionale istituita durante il periodo pandemico è una fase che adesso dobbiamo chiudere – continua la Federazione –
È necessario valorizzare innanzitutto gli infermieri che hanno studiato e svolto il tirocinio in Italia, agendo su tutte le leve a disposizione per trattenerli nel nostro Servizio sanitario nazionale, scongiurando le fughe all’estero”.
Sugli infermieri che arrivano in Italia ed esercitano la professione, gli Ordini evidenziano la necessità “che si torni a verificare, attraverso gli Ordini territoriali, le competenze accademiche e la relativa certificazione del titolo di studio come accadeva regolarmente in epoca pre-Covid per la verifica della competenza dei percorsi di studi, della conoscenza della lingua e della deontologia affinché nel nostro Paese non esistano assistiti di serie A e assistiti di serie B rispetto alle competenze infermieristiche”.
Infine, secondo la Fnopi occorre lavorare meglio sui motivi della disaffezione alla professione.
“Vale a dire l’aspetto economico, gli stipendi degli infermieri italiani sono mediamente il 40% al di sotto della media degli altri Paesi europei.
E l’aspetto organizzativo è una professione che ha scarsi sviluppi di carriera e che soffre di modelli ancorati a logiche vecchie, non più attuabili nell’attuale complessità del sistema”, conclude la Federazione.
Fonte: quotidianosanità