Operazione Bluemoon: dalla CIA eroina e morte di Stato.
Con operazione Bluemoon (o Blue Moon) si intende un’operazione sotto copertura messa in atto dai servizi segreti dei paesi del blocco occidentale all’inizio degli anni settanta, nell’ambito della Guerra Fredda, finalizzata a diffondere l’uso di droghe pesanti, in particolare l’eroina, tra i giovani attivisti dei movimenti giovanili di contestazione, in modo da renderli dipendenti e distoglierli dalla lotta politica.
La strategia si attuò mediante una sapiente operazione di “lancio” del prodotto.
Dapprima vennero bruscamente tolte dal mercato clandestino tutte le altre droghe allora diffuse (in particolare marijuana, hashish e anfetamine), al contempo iniziò una capillare diffusione di piccole dosi di eroina vendute a bassissimo prezzo, così da indurre i consumatori (in particolare giovani e giovanissimi, in buona parte appartenenti alla galassia di gruppi politici di sinistra extra-parlamentare nati nel post-sessantotto) a passare alla nuova sostanza, sfruttando anche la diffusa ignoranza sui gravissimi effetti collaterali in termini di dipendenza che essa comporta.
Gli esiti sociali di questa operazione furono un aumento vertiginoso del numero dei tossicodipendenti e delle morti da overdose: il numero degli eroinomani passò da zero nel 1970 agli oltre 300.000 nel 1985.
I primi esperimenti negli Stati Uniti
Durante gli anni ’60 cominciò a diffondersi nel movimento studentesco statunitense l’uso di stupefacenti come evento di gruppo.
Era soprattutto l’ideologia hippy ad essere particolarmente a favore dell’uso di droghe psichedeliche a scopo ricreativo e della sperimentazione continua di nuove sostanze.
Questa mentalità diffusa era alimentata dal pensiero di alcuni intellettuali, come Timothy Leary, che incoraggiavano l’uso di queste sostanze come sfida alle convenzioni sociali per raggiungere un nuovo grado di conoscenza in campo artistico ed esistenziale.
Tale inclinazione dei giovani figli dei fiori venne ben presto sfruttata dal governo americano per finalità di controllo e repressione.
In base a documenti desecretati provenienti dagli archivi della CIA e dell’FBI, fin da prima del 1968 il Governo
americano aveva infiltrato numerosi agenti sotto copertura all’interno dei movimenti studenteschi con il compito di introdurre l’uso di sostanze psicotrope tra i giovani attivisti.
Durante la convention hippy di Chicago del 1969 gli agenti infiltrati rappresentavano il 17% dei partecipanti.
Si raggiunse così un grado di controllo interno su questi gruppi talmente avanzato da poter cominciare una strategia di immissione massiccia di droghe.
L’enorme diffusione di eroina nei ghetti neri fu tra le principali cause della sconfitta e della successiva dissoluzione dei movimenti rivoluzionari afroamericani come le Pantere Nere.
Il contesto storico italiano
Il 20 marzo 1970 un’operazione antidroga condotta a Roma dai carabinieri porta alla scoperta di un barcone ormeggiato sul Tevere dove alcuni giovani dei movimenti si radunavano per fumare hashish e marijuana.
Da questo momento inizierà una campagna di stampa sui giornali vicini alla destra tesa a stigmatizzare il rischio della diffusione delle droghe nelle strade e a identificare il contestatore (rappresentato icasticamente come “il capellone“, secondo la moda allora in voga di portare i capelli lunghi) come consumatore e spacciatore di stupefacenti, un pericolo quindi per i giovani e la società tutta.
Secondo alcuni leader del Movimento Studentesco come Luigi Cancrini e Mario Capanna, questo fu un deliberato tentativo di delegittimare il movimento del ’68 e le sue istanze di rinnovamento, attuato attraverso il sovradimensionamento a fini allarmistici di un fenomeno come quello del consumo di droghe fino ad allora del tutto marginale.
Il quadro storico-politico è quello della Strategia della tensione, con l’attentato di piazza Fontana meno di quattro
mesi prima e il fallito “golpe Borghese” nel dicembre dello stesso anno.
In questi anni si assiste a un costante aumento dei consensi del Partito Comunista Italiano e parallelamente a un acuirsi dei conflitti sociali e delle manifestazioni di piazza.
Si inizia a pensare di attuare anche in Europa e in Italia una strategia di introduzione dall’alto di sostanze stupefacenti, su tutte l’eroina, nei gruppi giovanili, similmente a quanto fatto negli Stati Uniti.
L’operazione Bluemoon in Italia
L’operazione Bluemoon venne concepita per la prima volta nel 1972 durante un incontro segreto tra membri dei servizi segreti di vari paesi europei tenutosi in una località segreta sui monti Vosgi.
Secondo Roberto Cavallaro, collaboratore del SID, presente all’incontro, al vertice parteciparono esponenti dei servizi sia dei paesi NATO che del Patto di Varsavia: l’argomento era quello di trovare metodi meno espliciti possibili per mettere a tacere i gruppi di opposizione ai governi in carica, attraverso operazioni di guerra psicologica.
Di questa forma di guerra non ortodossa, per l’Europa occidentale, se ne occupò l’Aginter Press di Lisbona, organizzazione parallela dei servizi del patto atlantico che operava in funzione anticomunista.
In Italia l’uomo di collegamento con la CIA per l’operazione Bluemoon era Ronald Stark: agente segreto, persona enigmatica, amico personale di Timothy Leary, molto vicino ai gruppi pacifisti americani, che riforniva di grandi quantità di LSD, e per questo usato molto spesso come infiltrato.
Arrivato a Roma nel 1972, secondo il SISDE, giunge ad avvicinare in carcere alcuni elementi delle Brigate Rosse, tra cui Renato Curcio e altri esponenti di gruppi della sinistra extraparlamentare.
Le inchieste giudiziarie
Secondo il giudice Guido Salvini, titolare di molte inchieste relative alla strategia della tensione, Stark può essere
considerato il principale realizzatore per l’Italia del piano Bluemoon.
Contemporaneamente, negli stessi giorni, si assiste a una improvvisa intensificazione della repressione del traffico di hashish e marijuana nelle piazze di spaccio delle città italiane.
Viene inoltre approvata la legge Valsecchi, che mette al bando le anfetamine dalla lista dei farmaci ammessi, con trentaquattro anni di ritardo rispetto al resto d’Europa.
Tra gli spacciatori comincia a circolare dapprima una grande quantità di morfina venduta a buon mercato, se non addirittura ceduta gratuitamente, che porta molti utilizzatori di anfetamina a passare a questa nuova sostanza.
Tra il 1973 e il ’74 anche la morfina comincia a scomparire e viene gradualmente soppiantata dall’eroina, anch’essa venduta inizialmente in buona qualità e a bassissimo prezzo.
L’unico sequestro significativo di eroina in quegli anni sarà attuato nel 1975 dalla squadra mobile di Roma coordinata dal commissario Ennio Di Francesco, a cui tuttavia verrà avocata immediatamente l’indagine e sarà il giorno stesso allontanato dalla mobile.
Le conseguenze dell’operazione Bluemoon
Tra il 1975 e il 1980 l’eroina si fa sempre più diffusa e la tossicodipendenza inizierà a diventare un fenomeno endemico delle periferie urbane italiane ed europee che interesserà un’intera generazione.
Sia i media che le istituzioni sembrano non comprendere il fenomeno crescente e diffondono messaggi confusi e contraddittori sugli effetti reali della sostanza.
L’attenzione sembra essere ancora rivolta tutta contro la marijuana e le altre droghe leggere.
La prima vittima da overdose avviene ad Udine nel 1974, nel ’77 i consumatori sono già saliti a 20.000, fino a sfiorare alla metà degli anni ottanta i 300.000 tossicodipendenti.
La situazione era aggravata dalla mancanza di un adeguato sistema di cura e prevenzione nelle strutture sanitarie e, sebbene una parte dei gruppi politici si rendesse conto del rischio che l’eroina comportava, la consapevolezza del rischio rimase per molti anni ancora gravemente insufficiente.
di Paolo Germani
Fonte: altreinfo
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