La genesi dell’autonomia differenziata in Italia
L’autonomia differenziata delle regioni italiane è una proposta politica con radici che risalgono agli anni ’90. Nel 2001 ci fu la revisione del titolo V della Costituzione italiana.
Tale riforma ha esaltato il ruolo e l’autonomia delle regioni e degli enti locali identificando in maniera più chiara le varie competenze attribuite alle regioni.
Altri tentativi riguardo alla situazione delle regioni sono stati fatti nel tempo attraverso la proposta di riforma costituzionale Renzi-Boschi del 2015 e diversi referendum popolari di iniziativa regionale.
23 gennaio 2024 il Senato ha approvato il disegno di legge proposto dal governo, ieri 19 giugnoo è stato approvato dalla Camera.
Il disegno di legge del governo Meloni stabilisce le procedure mediante le quali le regioni potranno richiedere e conseguire l’autorizzazione per gestire autonomamente alcune delle materie attualmente di competenza dello Stato.
L’approvazione del disegno di legge non comporterebbe automaticamente il trasferimento di competenze alle regioni.
In particolare, stabilisce le procedure per negoziare tali trasferimenti.
Questo processo è legato alla definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), fondamentali per evitare disuguaglianze regionali.
Pro e contro
Le cinque regioni con autonomia differenziata in Italia hanno sperimentato un adattamento più preciso delle politiche e degli investimenti alle loro specifiche esigenze, consentendo un utilizzo più efficiente delle risorse a livello regionale, come per esempio nella gestione delle risorse finanziarie.
Secondo l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, le cinque regioni hanno registrato nel tempo qualche vantaggio nella gestione della spesa finanziaria delle amministrazioni centrali rispetto ad altre regioni.
Tuttavia, ci sono anche alcuni aspetti negativi da considerare.
L’autonomia differenziata potrebbe portare a un aumento delle disparità tra regioni, accentuando le differenze già esistenti.
Questo potrebbe avere effetti negativi sui cittadini delle regioni meno sviluppate o meno popolose, riducendo l’accessibilità e la qualità dei servizi pubblici essenziali come la sanità e l’istruzione.
Nonostante le divisioni, il dibattito sull’autonomia differenziata offre spunti positivi.
Le esperienze delle regioni autonome suggeriscono una migliore adattabilità ed efficienza nella gestione delle risorse locali.
Sebbene ci siano preoccupazioni sulle disparità regionali, l’autonomia potrebbe promuovere lo sviluppo locale e la partecipazione democratica.
FONTE BuoneNotizie.it
Autonomia differenziata: e adesso?
L’Ufficio parlamentare di bilancio ha infatti chiesto una valutazione preliminare dell’impatto finanziario del trasferimento delle funzioni che le Regioni potrebbero chiedere di gestire in autonomia e che, ad oggi, è impossibile prevedere.
La riforma riguarda ben 23 materie tra cui istruzione, sanità, ambiente, energia, sport, trasporti, commercio estero, cultura.
Ma ogni materia ha decine di funzioni e in totale si arriva quasi a 500.
L’operatività della riforma non è cosa immediata e con tutta probabilità non arriverà prima del 2026 perché deve passare dalla definizione di una serie di paletti che, in teoria, dovrebbero evitare alle Regioni meno ricche di non riuscire più a garantire i servizi legati ai diritti civili e sociali.
Un percorso che non soddisfa le opposizioni, certe che la riforma leghista del ministro per gli Affari regionali e le autonomie finirà per minare alle fondamenta l’unità del Paese.
Fonte Il Fatto Quotidiano
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