COP28
Perché la rinuncia ai combustibili fossili resta un tabù
COP28 siamo al quinto giorno di Dubai e il primo Global Stocktake dell’Accordo di Parigi è entrato nel vivo:
si tratta del bilancio globale di ciò che finora è stato fatto da ciascuno Stato per la riduzione delle emissioni di gas climalteranti e prevede la revisione degli impegni futuri, i cosiddetti NDCs, nella speranza che possano diventare più ambiziosi e – soprattutto – in linea con gli scenari di riduzioni suggeriti dalla scienza.
Intanto pesano le parole pronunciate dai politici durante il Leader Summit, mentre la definizione di
“ebollizione globale”
pronunciata da Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, ha fatto eco tra le sale negoziali.
Ma resta “l’elefante nella stanza”, quel tabù che ci portiamo dietro da anni:
nessuno dei paesi industrializzati vuole inserire il termine phase-out nei testi negoziali,
ovvero quel termine che in modo inequivocabile sottolineerebbe la necessità e il volere condiviso di abbandonare definitivamente l’uso dei combustibili fossili.
COP28: quinto giorno
Loss&Damage
Il bilancio su questa COP28 potremo farlo solo alla fine dei lavori, ma intanto è emersa già qualche notizia inaspettata.
Innanzitutto la tanto discussa adozione lampo del Loss&Damage, il fondo per le perdite e i danni già subiti dai paesi più vulnerabili.
L’adozione è stata una sorpresa perché ci si aspettava un lungo dibattito per un fondo nato solo lo scorso anno, durante la COP27, invece i primi passi sono già stati fatti: gli Emirati Arabi Uniti hanno messo sul piatto i primi 100 milioni di dollari, seguiti da Germania, Francia e anche dall’Italia.
La posizione dell’Italia
In effetti la posizione italiana è stata forse la notizia che ha avuto maggior risonanza sulla stampa nazionale, con l’annuncio a sorpresa dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante la prima giornata del World Climate Action Summit.
Nel resto della sua dichiarazione Meloni ha ribadito la necessità di una transizione ecologica, che sia però
“pragmatica e non ideologica”.
La Presidente ha annunciato anche la volontà dell’Italia di diventare un “hub” dell’energia pulita, sebbene i recenti accordi stipulati con Paesi del Nord Africa e Medio Oriente segnalino l’intenzione di puntare soprattutto sul gas.
Qualche briciola dagli Stati Uniti
Mentre l’Italia ha tentato di fare bella figura, la somma impegnata per il Fondo perdite e danni dagli Stati Uniti è apparsa, invece, altamente deludente: 17 milioni sono largamente insufficienti da parte del Paese che ha emesso di più nella storia.
Del resto, il Presidente Joe Biden è uno dei grandi assenti di questa conferenza, sostituito dalla Vicepresidente Kamala Harris, che ha però annunciato un nuovo contributo statunitense di 3 miliardi di dollari al Fondo verde per il clima dell’UNFCCC per sostenere i Paesi in via di sviluppo nella transizione.
Probabilmente una mossa studiata per compensare l’esiguo contributo al fondo condiviso su perdite e danni.
Cina latitante
Oltre agli Stati Uniti latita anche la Cina: l’altra pesante assenza di questa COP è infatti quella del Presidente cinese Xi Jinping.
Al suo posto, il Vice Premier e inviato speciale Xuexiang Ding ha ribadito il dovere dei Paesi storicamente più responsabili delle emissioni globali di aumentare il proprio sostegno finanziario ai Paesi emergenti.
Il primo Paese al mondo per emissioni ritiene, dunque, che i Paesi che hanno cominciato prima a industrializzarsi debbano guidare gli sforzi sia di mitigazione – quindi riduzione delle emissioni – che di aiuti finanziari.
La spaccatura tra Nord e Sud globale
Il sostegno finanziario finora carente per aiutare i Paesi emergenti è proprio alla fonte della sfiducia del cosiddetto Sud globale (termine che individua i paesi in via di sviluppo, in contrapposizione al Nord globale che invece individua i più ricchi).
Sfiducia che ha creato una frattura sempre più evidente ai negoziati.
I Paesi industrializzati sono accusati di un’azione climatica poco ambiziosa alla luce delle responsabilità storiche e delle risorse a loro disposizione.
Critiche aspre ai Paesi occidentali sono arrivate dal presidente brasiliano Inácio Lula da Silva, che ha sottolineato l’abisso tra i finanziamenti per l’azione climatica e le spese militari.
Lula ha, inoltre, ribadito l’impegno di fermare la deforestazione in Amazzonia entro il 2030.
Questa critica ha trovato eco nell’intervento del premier indiano Narendra Modi, che ha sottolineato come il livello di ambizione dei Paesi emergenti superi quello dei più ricchi.
L’India, come la Cina, spinge infatti per un riconoscimento maggiore delle responsabilità dei Paesi occidentali.
Per esempio, gli Stati Uniti superano la Cina ed eclissano l’India se si parla di emissioni storiche o di emissioni pro capite.
Per confermare la propria ambizione, l’India ha annunciato la volontà di ospitare COP33 nel 2028.
Il messaggio di Papa Francesco
Un’altra voce di denuncia è giunta da Papa Francesco, che ha dovuto rinunciare alla partecipazione su raccomandazione dei medici e ha incaricato il Segretario di Stato del Vaticano, il Cardinale Pietro Parolin, di trasmettere il suo messaggio.
Il Pontefice ha lanciato un appello a favore del condono del debito dei Paesi vulnerabili:
essi pagano le conseguenze delle azioni dei più ricchi e maggiori responsabili delle emissioni, che hanno un “debito ecologico” nei loro confronti. Ha, inoltre, ribadito la necessità dell’abbandono repentino dei combustibili fossili.
COP28: quinto giorno
La doccia fredda
Nel pomeriggio di domenica, poi, a peggiorare la situazione è arrivato il video in cui il sultano Ahmed Al Jaber, presidente della COP28 e amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company, ha dichiarato
“Non esiste scienza che dimostri che è necessario eliminare i combustibili fossili per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi”.
“L’addio a carbone, petrolio e gas ci riporterebbe alle caverne”.
Le parole di Al Jaber hanno scatenato le proteste dei climatologi, e provocato la risentita reazione del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha detto:
“Si tratta di affermazioni gravissime e assolutamente preoccupanti, sull’orlo del negazionismo climatico” (cit. da Avvenire)
FONTE: National Geographic Italia