Un movimento anti-social: il Luddite Club
Una vita senza i nostri smartphone tra le mani ci sembra praticamente impossibile: giovani, adulti, ormai nessuno può più farne a meno; o meglio, così crede. Ma è davvero così?
Un gruppo di adolescenti newyorkesi di recente ha tentato di mostrarci il contrario.
Si tratta del Luddite Club, che prende il suo nome dal personaggio storico Ned Ludd, un operaio che nel 1779 diede vita a un movimento di protesta contro la diffusione dei macchinari d’industria considerati la causa di bassi stipendi e sfruttamento.
Il bersaglio di questo club è un altro, ma le intenzioni sono le stesse: eliminare ciò che ci rende schiavi.
La fondatrice del gruppo è Logan Lane, una ragazza di diciassette anni che durante la pandemia si è resa conto di quanto i social network la stessero più soffocando che aiutando.
Non riusciva più a capire se ciò che faceva lo faceva perché le piaceva davvero o perché sapeva che postandolo sarebbe piaciuto a tutti gli altri.
Insomma, ciò che tutti gli adolescenti vivono quotidianamente senza quasi rendersene conto.
Luddite Club
In un’intervista al «New York Times», Logan ha dichiarato di sentirsi estremamente meglio da quando ha messo da parte il suo smartphone sostituendolo con il classico “telefono a conchiglia”, ormai ritenuto reperto archeologico (li vendono ancora?!).
Inizialmente la sfida fu solo con se stessa, e fu dura.
Ma piano piano cominciò a scoprire cosa significa vivere in una città da adolescente.
Cominciò a frequentare le librerie e a fare amicizia con altri adolescenti come lei per le strade della città.
Con l’inizio della scuola, cominciò a parlare della sua esperienza ai suoi compagni nei corridoi del suo liceo, la Edward R. Murrow High School, convincendoli a parteciparvi appendendo per le pareti delle aule dei poster fatti da lei.
A oggi il club conta 25 membri circa, che si riuniscono presso la scuola ogni martedì accogliendo quegli studenti che ancora non si sentono pronti a rinunciare completamente ai propri iPhone, proponendogli di ignorare i propri dispositivi per almeno un’ora.
Il gruppo si incontra invece ogni domenica al Prospect Park di Brooklyn, New York.
Durante i loro incontri, i ragazzi mettono via i loro dispositivi e si dedicano a diverse attività.
Chi dipinge, chi legge un libro, chi semplicemente fa amicizia o passeggia chiacchierando del più e del meno.
Qualcuno ha però fatto notare come molti ragazzi al giorno d’oggi abbiano bisogno dei propri smartphone per sentirsi integrati e parte della società.
Logan ha dichiarato che in realtà non si tratta necessariamente di dover avere un cellulare a conchiglia vecchio stile.
Luddite Club
Si tratta di un problema reale che riguarda salute mentale e un utilizzo spropositato degli schermi, ed è questo ciò che il club vuole mettere in luce più di tutto il resto.
C’è chi però, scambiando il proprio smartphone con un flip phone ha riscoperto un miglior modo di vivere.
Uno dei membri del club, Lola Shub, ha dichiarato al New York Times che da quando ha ricevuto il suo flip phone ha iniziato a “usare il suo cervello” e “osservare se stessa come persona”, scoprendo passioni e talenti nascosti come la scrittura.
È ormai risaputo quanto possa essere dannoso un uso-abuso dei social network per la propria fantasia e creatività, facendoci pensare che solamente ciò che è trend vada bene mentre tutto il resto, no.
Addirittura se ci si espone facendo o proponendo qualcosa che non piace alla propria community o ai propri follower, proviamo sensi di colpa e di inferiorità, come dichiara un’altra persona del Luddite Club:
«pubblichi qualcosa sui social media, non ricevi abbastanza mi piace, quindi non ti senti bene con te stesso» ha detto Vee De La Cruz, rivelando poi che «essere in questo club mi ricorda che viviamo tutti su una “roccia galleggiante” e che andrà tutto bene».
Insomma pare proprio che il Luddite Club abbia riscosso qualche successo in quel di New York City, mostrando che un’alternativa all’ossessione per i social esiste ed è applicabile.
Certamente, a una risposta così drastica non tutti sono pronti, ed esistono sicuramente alternative più soft che comunque possono aiutare.
In un modo o nell’altro, già solo il fatto che pensare a una vita distante dal mondo virtuale ci terrorizza o ci sembra assurdo, ci dovrebbe far capire che potrebbe proprio essere ciò di cui abbiamo bisogno.
Maria Vittoria Onnis
Fonte: thepasswordunito