L’ha comprata per meno della metà del suo valore, ma dovrà prendere in mano una banca con seri problemi
Domenica sera il governo svizzero ha annunciato il raggiungimento dell’accordo per il salvataggio e l’acquisizione di Credit Suisse, seconda banca svizzera per dimensioni e in crisi da tempo, da parte di UBS, prima banca svizzera e principale concorrente di Credit Suisse. Entrambe le banche hanno già una dimensione internazionale notevole e con l’acquisizione si creerà uno dei poli finanziari più grandi in Europa.
UBS ha comprato Credit Suisse per 3,25 miliardi di dollari (circa lo stesso valore in euro): le azioni di Credit Suisse nell’ultimo anno hanno perso circa il 74 per cento del loro valore e in totale l’istituto prima dell’acquisizione aveva una valutazione di mercato di 8 miliardi di dollari. UBS ha fatto quindi un affare, ma allo stesso tempo si deve fare carico delle perdite e di tutti i problemi di una banca che fino a qualche giorno fa rischiava il fallimento.
Nel 2022 UBS ha realizzato profitti per 7,6 miliardi di dollari, mentre Credit Suisse ha realizzato la sua perdita più grande dalla crisi finanziaria del 2008, pari a 7,3 miliardi di dollari, di fatto erodendo i guadagni di un decennio. È vero che UBS si fa carico di una situazione critica, ma l’accordo le consente di consolidare la sua posizione di leader di gestione dei patrimoni: con l’acquisizione di Credit Suisse, altro istituto molto attivo in questo settore, UBS arriverà a gestire miliardi di dollari di investimenti a livello mondiale, con attività sparse tra Stati Uniti, Europa, Asia e Medio Oriente.
L’accordo è notevole anche perché unisce due istituti storicamente rivali nel mondo bancario.
Sia Credit Suisse che UBS sono due banche svizzere storiche, che hanno entrambe oltre 160 anni di storia e che sono specializzate nella gestione dei patrimoni privati e istituzionali: semplificando molto, significa che gestiscono gli investimenti dei patrimoni loro clienti, che possono essere privati, aziende o altre istituzioni finanziarie. Benché a livello di dimensioni UBS sia notevolmente più grande di Credit Suisse (34,5 miliardi di dollari di ricavi e 74 mila dipendenti, contro i 16 miliardi di dollari e i 50 mila dipendenti di Credit Suisse), i due istituti sono sempre stati considerati due concorrenti a tutti gli effetti quando si parlava di gestione del patrimonio.
UBS ha rischiato il fallimento dopo la crisi finanziaria del 2008, risultando particolarmente esposta alla crisi dei mutui subprime che portò prima al fallimento di Lehman Brothers e poi alla crisi finanziaria internazionale. Il governo svizzero e la Banca nazionale svizzera decisero di salvarla vista la dimensione dell’istituto, mettendoci anche molti soldi per tenerla in piedi ed evitare così la crisi di tutto il sistema bancario svizzero.
Da allora UBS ha messo in atto un profondo piano di ristrutturazione, che ha fatto perdere il lavoro a migliaia di dipendenti con l’obiettivo di ridurre i costi e che allo stesso tempo ha apportato grossi cambiamenti strategici nel business.
Prima della crisi del 2008, la banca aveva gradualmente allargato la sua attività, dando sempre più importanza al settore dell’investment banking, una scelta che ai tempi presero molte banche, tra cui anche la rivale Credit Suisse. Semplificando molto, le attività di investment banking corrispondono a servizi finanziari per le aziende che per esempio vogliono quotarsi in borsa, o che cercano investitori o sponsor finanziari nelle operazioni di fusione e acquisizione. Sono attività mediamente più rischiose delle normali attività bancarie, perché spesso implicano che i capitali delle banche rimangano vincolati alle aziende per molto tempo.
Il settore dell’investment banking è anche più rischioso perché è quello più legato all’andamento economico generale. Con l’arrivo della crisi finanziaria del 2008 UBS oltre a trovarsi invischiata nella crisi dei mutui subprime dovette fare i conti con un ramo del suo business che iniziò ad andare molto male.
Da allora, UBS ha nettamente cambiato strategia: è tornata a occuparsi molto di più di quello che da sempre era stata la sua attività principale, ossia la gestione dei patrimoni, dismettendo e ridimensionando molto il settore dell’investment banking. C’è voluto un quasi fallimento e un salvataggio dello stato, ma da allora UBS è andata sempre meglio e oggi è considerata una delle banche più solide a livello europeo.
Credit Suisse non si è trovata in una situazione altrettanto grave nel 2008 e non ha sentito l’esigenza di ridimensionare la sua esposizione nel settore dell’investment banking. Molti analisti riconducono l’attuale crisi di Credit Suisse a errori di gestione e proprio a questa scelta di un modello di business piuttosto rischioso e diverso da quello che ha sempre perseguito nella sua storia.
Negli ultimi anni, per molti motivi legati all’andamento generale dell’economia, le attività di investment banking hanno avuto particolari difficoltà. In più Credit Suisse nel 2021 è rimasta invischiata in alcuni investimenti sbagliati e legati a enormi fallimenti di fondi internazionali: quello di Greensill Capital, un fondo angloaustraliano che forniva credito alle imprese e che è fallito nel 2021 dopo operazioni altamente speculative, e quello di Archegos, un altro fondo di investimento altamente speculativo.
Il risultato finale è stato che nel 2021 Credit Suisse ha avuto una perdita di 1,6 miliardi di franchi svizzeri (circa 1,62 miliardi di euro), che si è allargata a 7,3 miliardi nel 2022 (circa 7,4 miliardi di euro), la perdita finanziaria più grave dal 2008.
Per certi versi la storia delle due banche si è quindi incrociata negli ultimi quindici anni, per poi andare in direzioni opposte: ciò che ha danneggiato moltissimo UBS dopo la crisi del 2008 – e da cui UBS ha preso le distanze, con una mossa che col senno di poi è stata appropriata – è proprio lo stesso che ha portato alla crisi di Credit Suisse oggi.
l presidente di UBS, Colm Kelleher, ha detto che dopo che l’acquisizione della banca sarà finalizzata le intenzioni saranno quelle di «ridimensionare la sezione di investment banking di Credit Suisse» e di «adeguarla alla loro propensione conservativa al rischio».
I dubbi rimangono
Restano comunque alcune perplessità sulla gestione dell’operazione. In particolare, ha suscitato qualche allarmismo la decisione di far azzerare il valore di 16 miliardi di dollari di obbligazioni di Credit Suisse e di far perdere così i soldi ai loro detentori (ossia creditori della banca). Sono le cosiddette “obbligazioni AT1”, una categoria piuttosto rischiosa di investimenti che non è in alcun modo tutelata dalle regole bancarie in caso di fallimento (al contrario delle somme sui conti correnti che entro certi importi sono sempre garantite): sono obbligazioni legate a uno dei principali indici per valutare lo stato del patrimonio di una banca e nel caso di fallimento per loro natura perdono totalmente valore. In tempi normali garantiscono alti rendimenti, proprio per il loro alto rischio.
La decisione di azzerare il valore delle obbligazioni AT1 è stata giudicata piuttosto controversa dagli analisti: la banca non è realmente fallita e quindi non si spiega l’azzeramento del valore; tuttavia la decisione di cancellare questi debiti è volta al miglioramento del bilancio di Credit Suisse e quindi della struttura che confluirà infine dentro UBS.
In deroga alle regole generali, la Banca nazionale svizzera e il governo hanno disposto che gli obbligazionisti AT1 riceveranno infine un trattamento peggiore degli azionisti, che sono quelli che solitamente dovrebbero rispondere in prima istanza della crisi di una azienda: in questo caso invece gli azionisti di Credit Suisse si ritrovano soci di UBS (pur con una consistente perdita del valore dei loro titoli); al contrario i detentori di obbligazioni AT1, ossia creditori, perdono tutto.
Chi guadagna molto da questa decisione è sicuramente UBS, che ha comprato una banca sì in crisi, ma di cui parte dei debiti sono stati totalmente cancellati.
La situazione è risultata talmente anomala che le obbligazioni AT1 di tutte le altre principali banche nella giornata di lunedì hanno perso valore: gli investitori hanno cercato di liberarsene temendo di perdere i propri soldi nel caso in cui dovessero esserci ulteriori problemi. Le autorità europee di vigilanza bancaria sono quindi intervenute con un comunicato congiunto a spiegare che in Unione Europea le regole non saranno derogate: prima rispondono gli azionisti e poi tutti gli altri.
Fonte: Il Post