5G, un business sporco di sangue: finanziati i tagliagole dell’ISIS
4 marzo 2022
Poteva un business planetario come quello della telefonia mobile restare immune da tangenti, mazzette, scandali e corruzione? Poteva l’avanzamento del 5G, standard senza precedenti e sperimentale, non finire al centro di un putiferio che fa arrossire persino i vecchi lestofanti di Tangentopoli? Poteva una produzione di benefici complessivi stimata in circa 3,2 miliardi di euro l’anno a partire dal 2025 restare immacolata?
No, certo che no. Non poteva e infatti non lo è stato.
Ma alla notizia di una clamorosa tecno-tangentopoli, si aggiunge che Ericsson, leader incontrastato in Europa per i brevetti sul 5G e fornitore in Italia di rete per TIM, per fare affari nei territori di guerra sia finita addirittura per finanziare i tagliagole dell’ISIS, si, avete capito bene, l’organizzazione islamica di stampo jihadista attiva soprattutto tra Iraq e Siria e da anni nemico giurato dall’Occidente.
5G e ISIS
La notizia è questa: il top player del 5G svedese pagò l’Isis nel 2014, quando stava puntando al controllo della città irachena di Mosul.
“Andarcene distruggerebbe i nostri affari”, dissero i dirigenti della multinazionale telefonica, chiesto ad un partner iracheno di copertura di ottenere dai terroristi dello Stato Islamico il permesso di continuare a lavorare nella regione.
E’ la pesantissima e infamante accusa contenuta nell’inchiesta giornalistica internazionale condotta dall’International Consortium of Investigative Journalists, un consorzio di giornalisti investigativi di circa cento paesi al mondo.
“Il colosso svedese della telefonia ha commesso crimini in Iraq col progetto Ericsson List”, titola Franceinfo. “Una corruzione mondiale, da premio Nobel del malaffare”, replica L’Espresso.
E già, una corruzione da Premio Nobel: regali di lusso, viaggi e divertimenti a dirigenti e funzionati statali per ingraziarseli e vincere agevolmente appalti pubblici “allo scopo di aumentare il profitto”.
Lo spiega un’indagine del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti secondo cui Ericsson, che ha patteggiato una pena da oltre 1 miliardo di dollari per violazioni durate almeno 17 anni e in almeno cinque paesi, pagò tangenti ai dipendenti pubblici a Gibuti, il punto strategico di ingresso della Cina in Africa, ma pure tra Asia e Medio Oriente, “uno schema per pagare tangenti, falsificare i libri contabili e chiudere un occhio sulla corruzione, in Paesi come Cina, Vietnam, Indonesia e Kuwait”.
Non solo, perché Guo Wengui, noto uomo d’affari e plurimiliardario, considerato tra i più ricchi di tutta la Cina, dal 2014 però in esilio negli Stati Uniti per sfuggire ad un mandato di cattura spiccato da Pechino, ha affermato che “il Partito Comunista Cinese ha corrotto e acquistato un gran numero di funzionari italiani di alto rango.”
Lo stesso sostiene Jacob Helberg, un consulente presso il Center for Geopolitics and Technology della Stanford University, secondo cui Huawei ha pagato tangenti ai leader politici per snaturare il mercato.
Quindi, tornando a cose altrettanto inquietanti, sugli effetti per la salute e l’ambiente del 5G, dobbiamo continuare a fidarci di questi tangentisiti e corruttori?
Di gente che ha trattato persino con i sanguinari e tagliagole ai tempi in cui il mainstream ci propinava l’ISIS come il male assoluto per la libertà?
E no, non che non possiamo fidarci di loro, e non dobbiamo!
Visto che la quasi totalità della ricerca scientifica negazionista del danno risulta a busta paga nei fatturati aziendali, quindi conflitto da interessi e che, tanto per capirci, l’amministratore delegato di Ericsson ha di recente tuonato contro i presunti ostacoli al 5G, ovvero contro un “quadro normativo ed eccessiva cautela” per spingerci da 6 a 61 V/m nel grande salto nel buio prospettato dallo tsunami elettromagnetico dell’Internet delle cose.
Maurizio Martucci
Fonte: oasisana
Inter
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